Di Ester Lucchese
È bene che ci sia un giorno per festeggiare la donna, quasi a voler sottolineare il fatto che ella faccia parte di una razza speciale?
Si parla tanto di emancipazione, conquiste sociali, economiche e politiche anche se in molti paesi del mondo la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore, vittima di discriminazioni e violenze. Se non vogliamo credere in questa festa, cerchiamo di capire perché un tempo si pensò di istituirla.
Oggi a tutti gli effetti è diventata una festa di carattere commerciale!
La data è utilizzata per evidenziare quegli avvenimenti legati alle conquiste femminili, come la possibilità di andare a votare, di dire no alla guerra, ma è anche riferita al diritto di scioperare(come avvenne per le operaie della Cotton di New York che persero la vita nel 1908). L’otto marzo ci fa venire in mente anche l’incendio alla Triangle Shirtwaist Company di New York nel 1911, in cui morirono moltissime donne (italiane immigrate ed ebree del est europeo), e questa data, convenzionalmente indicata, è un giusto motivo per ricordare anche loro. Negli anni ’70 si strumentalizzò l’otto marzo da parte dei movimenti femministi che tra l’altro operarono attivamente per la legge sulla parità, per il diritto al divorzio e all’aborto.
Adesso, al vago ricordo di avvenimenti realmente accaduti nel corso della storia, è associato soltanto il gesto simbolico di ricevere un ramoscello di mimosa, quel semplice ed economico fiore che fiorisce nel mese di marzo.
Sarebbe molto più significativo considerare la donna ogni giorno degna di rispetto e di considerazione e poterle dedicare quelle parole che uomini e donne nel tempo hanno saputo esprimere per eternare e mettere in risalto le sue qualità e soprattutto la sua unicità.
Una grande piccola donna come Madre Teresa aveva detto che nella donna “la sua forza e la sua convinzione non hanno età, perché il suo spirito è a colla di qualsiasi tela di ragno”.
Tagore ne aveva dipinto una bellissima immagine con queste parole:”Non è soltanto l’opera di Dio, ma anche degli uomini che sempre la fanno bella con i loro cuori. I poeti le tessono una rete con fili di dorate fantasie, i pittori danno alla sua forma sempre nuove immortalità”.
S. Quasimodo alla donna a lui più cara, sua madre, nel ringraziarla in una sua lettera le dice che è “grato per l’ironia che lei ha messo sul suo labbro, mite come la sua ironia. Quel sorriso lo ha salvato da pianti e da dolori”.
Pablo Neruda la definisce “mia sete , mia ansia senza limite , mio cammino incerto”.
La donna è l’ultima espressione del mistero di Dio nella creazione. “Solo dopo averla creata –sostiene D. M. Turoldo– Dio non crea più nulla, e fa festa. Si riposa! Fa festa perché è comparsa lei in quanto sintesi di tutta la sua opera, specchio del creato”.
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