Di Francesca Tomei
L’aspetto che maggiormente mi affascina dei cani è la loro perfetta capacità comunicativa. Gli animali sociali devono possedere un repertorio comunicativo che permetta di collaborare, cooperare e per evitare scontri superflui che sterminerebbero la specie, andando contro la regola n.1 dell’evoluzione: vivere abbastanza a lungo per trasmettere almeno la metà dei propri geni.
Per lungo tempo si è ritenuto che i branchi di lupi, e conseguentemente i cani che da essi derivano, fossero retti da severe e ferree leggi, in cui il “capobranco” si affermava attraverso la violenza e le aggressioni.
Tutto questo si è rivelato totalmente errato. Ed infatti i moltissimi studi hanno dimostrato che i branchi di lupi sono tenuti insieme da legami molto stretti: i componenti discendono da un’unica coppia di genitori. Che senso avrebbe imporsi con un figlio che in maniera naturale e spontanea riconosce l’autorevolezza del genitore?
Lo stesso vale per i cani. I membri delle due specie non sono mai gratuitamente aggressivi, non si uccidono tra loro, ma hanno sviluppato un repertorio comportamentale sofisticato, superiore a qualsiasi forma di linguaggio verbale, ricco di rituali, di segnali comunicativi che hanno lo scopo di prevenire o interrompere gli scontri. Cade la teoria del soggetto Alfa, dominante.
Il leader, ma preferisco chiamarlo Centro Referenziale (e non più capobranco) è chi assume la guida del gruppo grazie alla sua diplomazia, al suo carisma, alle proprie competenze emotive, e verso cui gli altri membri mostrano spontaneamente deferenza, proprio in virtù delle sue qualità.
Non si parla di obbedienza ma di accreditamento.
Eppure, purtroppo, la natura umana fatica ad accettare e comprendere questo. Ed allora ancora resiste la convinzione che il cane ci debba obbedienza.
Ancora oggi sono diffusi metodi totalmente discutibili, coercitivi, con cui l’uomo si impone sul cane.
Personaggi come Cesar Millan sfruttano il potere dei Mass Media per diffondere le loro capacità di “addestratori” o “sussurratori”.
Le tecniche ed i metodi utilizzati prevedono l’uso di strumenti (collari a strangolo o semi strangolo, collari elettrici, calci, pugni) che non solo sono violenti, e quindi non rispettano l’etologia dei canidi, ma per di più inficiano la relazione con il cane.
La comunicazione del cane e verso il cane è fatta di altro.
Usare violenza significa sfidare, ed un soggetto che si sente sfidato o minacciato, inevitabilmente reagisce. E’ la legge della sopravvivenza!
Come si può pensare di forgiare un carattere attraverso l’imposizione?
Poiché in un branco vige la legge del benessere qualsiasi atteggiamento aggressivo/impositivo genera la volontà di allontanamento o eliminazione del soggetto che usa violenza, minando l’equilibrio.
Atterrare un cane, sfiancarlo, o strangolarlo ci fa sentire onnipotenti. Ma abbiamo vinto veramente o abbiamo creato un presupposto per un grande malinteso? Davvero pensiamo che quel cane ci rispetterà perché lo abbiamo picchiato? Abbiamo soltanto offerto un’immagine di noi pericolosa, che il cane, come ne avrà l’opportunità, cercherà di contrastare (Senza contare gli effetti nocivi dello stress causato da errata comunicazione e atteggiamenti offensivi).
La violenza porta violenza.
I vecchi metodi di addestramento risultano inefficaci sia nell’educazione base, sia, in misura notevolmente maggiore, nei percorsi di rieducazione comportamentale.
Il mio lavoro con i cani è basato su un approccio cognitivo – relazionale e si svolge nel rispetto della loro natura, declinandola nella realtà a umana.
Quando lavoro con un cane, anzi con il binomio cane – proprietario, la regola di base è emozioni positive. Con uno stato d’animo sereno il cane sarà più collaborativo e motivato. Assocerà i suoi comportamenti ad eventi positivi, sarà sempre desideroso di lavorare, intendendo il lavoro come attività condivise, necessarie, dal punto di vista etologico, per un animale sociale come è il cane.
Inoltre nel lavoro di educatore lo scopo non è educare il cane, ma … il proprietario! Insegnandogli la corretta comunicazione con l’alterità animale.
Chi applica metodi fisici, impositivi, coercitivi dimostra di avere scarsa o nulla conoscenza etologica, e già soltanto questo dovrebbe essere sufficiente a screditarlo.
E’ nostro obbligo (scientifico e morale) contrastare i messaggi errati che vengono diffusi. E questo è possibile solo attraverso la divulgazione di una corretta ed onesta cinofilia, che possa contribuire a scontare l’enorme debito di riconoscenza che abbiamo verso i cani e verso tutte le specie viventi.
Francesca Tomei
Educatore Cinofilo, specializzanda in Recuperi Comportamentali
Presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Divertirsi a 6 Zampe.