In occasione del 100° anniversario della costituzione del Partito Comunista Italiano, il prossimo 21 Gennaio, alcuni dirigenti storici del Partito di Terra di Bari, hanno voluto ripercorrere e rilanciare mediante la stesura di un documento (che ha raccolto le firme di oltre 100 personalità, ex deputati, militanti e simpatizzanti), i meriti di quella comunità politica che è stata baluardo nella lotta di Resistenza al fascismo, protagonista nell’immediato dopoguerra della nascita della Repubblica e della stesura della Legge Costituzionale, al pari delle lotte di rivendicazione di diritti realizzando l’emancipazione politica di milioni di italiani. Ne ha dato notizia questa mattina l’edizione barese del quotidiano La Repubblica che ha riportato il documento a prima firma dello storico dirigente Mimì Ranieri. Il documento non si limita soltanto a una mera rievocazione storica, ma, come da atavica tradizione , analizza la serie di incongruenze, ritardi ed errori a domande cui il partito non ha saputo dare risposta nel corso delle varie configurazioni politiche assunte a cominciare dal Partito Comunista d’Italia fino alla creazione del Partito Democratico, inclusa la errata lettura della globalizzazione il cui sviluppo selvaggio ha contribuito ad acuire i problemi economici di fasce più deboli della società.
Un anniversario che viene a cadere nel drammatico momento storico che il Paese sta vivendo a seguito della pandemia da Covid 19 con conseguenti ,e altrettanto drammatici, problemi economici, che negli auspici di estensori e firmatari del documento rinnova il desiderio di una sinistra rinnovata e consapevole degli errori del passato ripercorra quei sentieri di “libertà, dignità e giustizia” che mossero gli uomini di cento anni fa. (redazione)
Di Domenico Ranieri
Abbiamo militato nel PCI. Con passione, entusiasmo,fatica, convinzione. Abbiamo vissuto la sua parabola nella Federazione di Terra di Bari in via Trevisani. Non solo un luogo, ma la dimensione fisica e allo stesso tempo immateriale di legame con il Centro. Lo spazio dove i pensieri dei singoli si facevano analisi collettiva, dove una comunità di senso scavava nei processi attorno a noi e organizzava un radicamento sociale sempre più diffuso e articolato dentro le pieghe di quel territorio. Il nostro territorio.
A un secolo dalla fondazione del Partito Comunista Italiano come tanti e tante siamo interpellati sulla sua storia e sull’impronta che ha lasciato nella vita del Paese. Ci sentiamo interpellati perché l’anniversario interroga le ragioni stesse che ci accomunarono nella scelta di un campo, di quella forza e quella militanza nata in periodi diversi, o da origini diverse, ma divenuta presto una sfera comune e solidale. La storia del ‘900 si è per gran parte compiuta, ed è sul piano storiografico che oggi il confronto sul suo atto iniziale può svilupparsi senza nostalgie o pregiudizi. Sul “biennio rosso”, sulle scelte e sulle divisioni del movimento socialista, sul sorgere di quel fascismo che ben presto si fece regime.
Quel che per noi ebbe un valore profondo fu la lettura del ruolo del P.c.I. nella opposizione clandestina al fascismo. Il ricordo dei sacrifici e dei lutti patiti da dirigenti e militanti. Con l’esempio unico e grandioso della vicenda personale e della semina culturale di Antonio Gramsci, il suo pensiero parte fondante, molto al di là del perimetro della sua appartenenza, di una identità nazionale.?
Da qui prese forza il ruolo nella Resistenza e nella stesura della Costituzione. Quel Patto Costituzionale che è stato la base di una originalità del P.c.i. e della sua “via italiana al socialismo “. Fino al giudizio sull’esaurimento della fase propulsiva della Rivoluzione di Ottobre e alla rottura con le forme e le esperienze autoritarie dei Paesi dell’Est.
Fra limiti, contraddizioni, nodi irrisolti, il Pci è stato uno dei pilastri della democrazia italiana, ha guidato l’inclusione di masse di popolo nel solco della democrazia e consentito la loro partecipazione alla
vita e al presidio delle istituzioni repubblicane. Ma quel nostro partito è stato anche luogo di formazione per le classi subalterne e di confronto e ispirazione per generazioni di intellettuali, una palestra di educazione allo spirito civile e al senso dello Stato. Asse portante delle più importanti conquiste sociali del mondo del lavoro e dei diritti civili per l’intera società italiana.
Lo ha fatto integrando e mutando il paradigma economicista della sua cultura politica delle origini con le nuove frontiere della diversità di genere, della tutela ambientale, della rivoluzione tecnologica sino
dagli esordi
In Terra di Bari è stato, pure nelle contraddizioni come anche nei ritardi, in prima fila nella lotta antifascista, per la difesa della democrazia dagli attacchi eversivi, protagonista delle lotte per la Terra e l’emancipazione delle classi bracciantili. Una rappresentanza politica radicata nella nuova classe operaia nata dai processi di industrializzazione, esperimento peculiare dell’alleanza del mondo del lavoro con il movimento studentesco e con le forze della cultura negli anni della scolarizzazione di massa. Un centro avanzato di contributo alla battaglia meridionalista e di analisi del sistema policentrico che la Puglia andava sperimentando. Con la Svolta del 1989 la maggioranza congressuale ha aderito alla sua trasformazione. Abbiamo maturato poi, pur partendo da posizioni differenti, una riflessione critica sulla mancata più organica adesione al socialismo europeo e sulla necessità della apertura verso altre componenti progressiste.
La riflessione critica ha riguardato in seguito anche i limiti che caratterizzarono la creazione dell’Ulivo prima e del Partito Democratico poi. Non che non avesse una prospettiva feconda il progetto di una “casa dei riformisti” con l’unificazione delle grandi correnti riformiste del socialismo italiano e del cattolicesimo sociale, dell’ambientalismo e del pensiero delle donne.
Quanto per il fatto di non aver letto nel tempo giusto che gli effetti di una globalizzazione senza regole
spiazzavano la stessa dimensione nazionale e che la finanziarizzazione senza regolazione democratica
sovranazionale delle economie produceva effetti gravi di concentrazione di poteri e ricchezza in poche mani sottratte a ogni principio di trasparenza, controllo, responsabilità.
In altre parole si è mancato di leggere la stortura grave della teoria dello “sgocciolamento”, l’idea
secondo cui l’enorme accumulo di ricchezza si sarebbe in parte riversato verso i ceti più deboli. La suggestione di una marea destinata a far salire tutte le barche, quella del miliardario come il gozzo. Ma
non era così. La ricchezza si è concentrata sempre di più, la miseria ha perforato persino la scorza della
classe media. L’esito sono state disuguaglianze ?sociali ancora più profonde e un deficit democratico
sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. Un fenomeno che ha dato linfa alla destra
populista sulle due sponde dell’Atlantico. Con lo spostamento elettorale di numeri consistenti di elettori verso la sirena protezionista della destra.
È da qui che in questo anno di ripensamento della storia deve ripartire l’analisi sulle trasformazioni su
scala mondiale, come un rinnovato senso dell’etica pubblica nelle istituzioni e nella società. Da qui comunque deve ripartire la funzione della sinistra del XXI secolo. Pure di fronte a progressi importanti della civiltà umana sono infatti a rischio la tenuta dell’ambiente naturale e la vita stessa nel pianeta; per gli effetti distruttivi dell’inquinamento causato dal vecchio modello di sviluppo fino alla genesi di crisi pandemiche di carattere sistemico. Sono in gioco la libertà dell’individuo e il controllo sulle potenze tecnologiche dentro le nuove possibilità offerte. Così come è di pressante necessità indirizzare socialmente e per la tutela della natura i meccanismi dell’economia sottraendoli alla logica del dominio assoluto del profitto.
La sfida, insomma, è dare vita nelle forme rinnovate a un nuovo patto fra funzione regolativa dello Stato e mercato, fra preminenza del pubblico in sfere essenziali come sanità e istruzione permanente e la funzione sociale dell’impresa e della sfera del privato. Davanti a questi rischi dalla Unione Europea viene un segnale di svolta, di abbandono dell’ideologia ?tardo liberista e dell’austerity; pare imporsi una nuova visione dello sviluppo nella produzione e nella tutela di beni pubblici con una mutualizzazione solidale del debito a fini
di investimenti strategici.
Ecco la replica a chi teorizza la fine della funzione della sinistra nella nuova epoca.
L’augurio che rivolgiamo a noi stessi e a quanti verranno dopo di noi è che anche chi, come molti di noi,non ha oggi alcuna tessera di partito ritrovi a sinistra in un nuovo e ampio spazio di unità, dove la volontà di trasformare la realtà nel segno di libertà, dignità e giustizia torni a essere traguardo possibile.