Di Romina Rubino
La risonanza che le notizie di suicidio hanno acquistato in questo ultimo periodo sulle prime pagine di tutti i giornali sembra impressionante: internet, le grandi testate giornalistiche, i telegiornali, ogni giorno sottolineano il suicidio mostrandolo come un fenomeno in frequente aumento. Un dato preoccupante ed interessante allo stesso tempo, che sembra meritare una riflessione psicologica sulla condizione sociale e culturale di questi ultimi tempi. Il problema dell’influenza della letteratura e dei mezzi di comunicazione sui nostri comportamenti è largamente dibattuto e ha riscosso vasto interesse negli ambiti scientifici più disparati, dando vita ad un lungo filone di studi volti ad analizzare il peso che la notizia di un suicidio ha sulla popolazione. Per comprendere meglio questo fenomeno, solo in apparenza bizzarro ed insolito, è utile sottolineare che la mente umana è strutturata in diverse modalità di funzionamento, la maggior parte delle quali è inconscia, automatica: andare in bicicletta, guidare sovrappensiero sono solo alcuni esempi di come spesso agiamo fuori dalla nostra consapevolezza. In questi momenti, che sono molto più frequenti di quanto possiamo pensare, senza saperlo facciamo riferimento a delle ‘regole implicite’ che guidano il nostro comportamento e ci consentono di comprendere qual è la condotta migliore da tenere nelle situazioni. Sono questi i momenti in cui siamo più vulnerabili, più influenzabili! Questo dato, che fornisce già una prima idea di come le nostre scelte siano influenzate dall’ambiente in cui viviamo e dalle informazioni che apprendiamo, è plausibile ma non sufficiente per cogliere come la notizia di un suicidio possa influenzare la mente di chi legge. Non è possibile trattare in questa occasione in modo esauriente le dinamiche controverse della persona che decide di togliersi la vita, ma è utile considerare che questa drammatica decisione in genere è l’esito di un processo travagliato che prevede tre fasi. In un primo momento la persona inizia a pensare al suicidio come soluzione dei propri problemi; in una seconda fase si verifica un periodo di ambivalenza tra le intenzioni suicide e la volontà di sopravvivere e solo infine, tenendo sempre presente la possibilità di un ripensamento, si giunge all’attuazione. Se sembra assurdo che una persona decida di togliersi la vita per aver letto la storia di un suicidio, l’influenza che la notizia esercita su chi sta vagliando questa ipotesi, può assumere una certa rilevanza. Uno dei maggiori filoni di studio sul fenomeno prese il via in seguito ad un’ondata di suicidi emulativi verificatasi in Germania, successivamente alla pubblicazione del celeberrimo romanzo di Goethe, “I dolori del giovane Werther” (1774) che si conclude con un suicidio: l’effetto fu talmente potente che in diversi paesi fu vietata la diffusione del libro e si osservò un fenomeno analogo anche in Italia nel 1802, dopo la pubblicazione di “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo. Fu David Phillips, un sociologo dell’Università della California, a parlare per la prima volta di ‘effetto Werther’, ipotizzando le implicazioni profonde che l’imitazione e la suggestionabilità possano provocare nella dinamica del suicidio. Alcuni dati, apparentemente privi di senso ma a mio avviso impressionanti , emergono dalla lettura delle statistiche: dopo la notizia clamorosa di un suicidio che occupa le prime pagine dei giornali, non solo le vittime degli incidenti aerei aumenta del 1000%, ma si riscontra una frequenza allarmante degli incidenti stradali e questo fenomeno risulta strettamente correlato alle zone dove la notizia ha avuto una grande risonanza. Inoltre si è osservato che l’aumento degli incidenti nel periodo immediatamente successivo alla diffusione della notizia di un suicidio, è direttamente proporzionale allo spazio che è stato riservato alla notizia. Per spiegare questi dati è stata avanzata un’ipotesi basata sul ‘lutto’, ovvero che la notizia di una morte potesse essere talmente perturbante da rendere le persone più distratte ed impulsive nella guida. Tale ipotesi però non è esplicativa di un altro dato sorprendente: se la notizia giornalistica si riferisce ad un suicidio isolato senza altre vittime, l’aumento degli incidenti riguarda esclusivamente quelli con una sola vittima; al contrario, le notizie di suicidio-omicidio producono un aumento degli incidenti con più vittime. L’ipotesi, confermata da queste ricerche effettuate da Phillips, è che ‘certe persone disturbate, quando leggono che qualcuno si è tolto la vita, si uccidono per imitazione’; alla notizia clamorosa di un suicidio, nei due mesi successivi, in media si hanno 58 casi di suicidio più del normale! Alla luce di queste considerazioni possiamo leggere l’incremento degli incidenti stradali ed aerei che coinvolgono la zona di diffusione della notizia, come una forma camuffata di ‘effetto Werther’. Una persona che decide di uccidersi con l’auto farà in modo che l’impatto sia il più tremendo possibile per trovare morte certa, per questo le morti istantanee fra le vittime di incidenti mortali dopo la notizia di suicidio, sono quattro volte più frequenti della media. Il principio dell’imitazione, che ci fornisce una griglia di lettura di questi dati impressionanti, si attiva però particolarmente quando il protagonista della notizia in qualche modo ci somiglia, per posizione socio-culturale, ma soprattutto per età. Non sembra più un caso quindi, in questa prospettiva, che le ultime notizie di suicidio diffuse riguardino soprattutto persone con età e ruolo simili (ad esempio gli imprenditori). È l’incertezza, la precarietà non solo economica che ci vede tutti coinvolti in questo periodo spesso definito di ‘crisi’, che ci rende più fragili; è in questi momenti che facciamo più riferimento agli altri, quelli che maggiormente ci somigliano, per cercare di orientarci su quale sia il modo migliore di affrontare le cose. Le notizie, i film, i libri, i racconti, le trasmissioni televisive (anche quelle mirate a combattere il fenomeno) ci influenzano profondamente e, ancora più nei soggetti a rischio, possono produrre suggestioni tali da spingerli a compiere un gesto estremo che forse non avrebbero scelto. Tuttavia sarebbe riduttivo esaurire il ruolo di questo potente meccanismo nell’analisi di dati statistici. Se è vero che dopo la trasmissione di una scena di suicidio, si prevede un incremento dei suicidi nelle fasce d’età simili a quella del protagonista, con una stretta correlazione con gli indici di ascolto, non bisogna sottovalutare l’importanza di fattori, difficilmente quantificabili, altrettanto importanti: il modo in cui la scena è presentata, il grado di coinvolgimento degli spettatori nell’azione, ma soprattutto i fattori individuali. Le osservazioni fatte finora hanno lo scopo di sviluppare una riflessione su quanto potente possa essere l’influenza dei mezzi di comunicazione sulle nostre decisioni, in questo caso in particolare su come la notizia di un suicidio possa ripercuotersi con effetti devastanti sul pubblico. L’essere umano però, si caratterizza per la capacità di riflettere su stesso e sulle sue azioni ed il processo decisionale comprende i suoi valori di riferimento, le informazioni mediate dall’ambiente ed anche, dai mass media. Quanto più siamo in contatto con noi stessi, con i nostri vissuti, con le continue fluttuazioni emotive che ci caratterizzano, tanto più le nostre decisioni ci appartengono e l’influenza che i fattori esterni possono esercitare su di noi è notevolmente ridotta.