Di Eleonora Arnesano e Enzo Carrozzini
Il decennio intercorso tra gli anni 70 e 80 segnò il debutto di un nuovo triste protagonista nella vita sociale e politica del nostro paese: il terrorismo di matrice di sinistra che marciò di pari passo con la stagione delle stragi eversive di marca fascista, a cui gli storici attribuirono la definizione di ” strategia della tensione”. Invero una delle cause della nascita dell’eversione rossa è riconducibile a quella stagione stragista che , colpendo cittadini inermi, intendeva sovvertire le Istituzioni democratiche per restaurare un regime dittatoriale cogestito da organizzazioni politiche fasciste e pezzi di forze armate loro prossime, la depressione seguita al boom economico degli anni 60, riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali, disoccupazione seguita a innovazioni tecnologiche, e la persistenza, per le maestranze, di condizioni di lavoro massacranti formarono il brodo di coltura per le organizzazioni politiche extraparlamentari di cui le Brigate Rosse furono la parte più consistente e rappresentativa. Le Brigate Rosse , inizialmente, rivolsero le loro “attenzioni” ai nemici storici fascisti, (si ricorda a Padova l’assassinio di due militanti del Movimento Sociale Italiano), per poi alzare il livello dello scontro contro lo Stato e i suoi rappresentanti politici e Istituzionali. Fu cosí che una stagione di per se cruenta venisse acuita da ferimenti e assassini di agenti di polizia e carabinieri, anche giovanissimi, Magistrati, Giornalisti, vittime del furore ideologico di assassini colpevolmente definiti “compagni che sbagliano“, mossi all’insegna del proclama “portare l’attacco al cuore dello Stato“, e al partito politico della Democrazia Cristiana, che in quel momento storico lo rappresentava perché detentrice della maggioranza relativa dei consensi. Un crescendo di violenza culminato con l’azione eclatante del 16 Marzo 1978 in cui un commando delle Br rapì e uccise, dopo 55 giorni di sequestro il Presidente della D.C. Aldo Moro, sterminando cinque uomini delle forze dell’ordine schierati a sua tutela. Quel giorno Aldo Moro si doveva recare in Parlamento per votare la fiducia ad un Governo monocolore Dc guidato da Giulio Andreotti, che avrebbe dovuto inaugurare la nuova stagione, definita del “Compromesso Storico“, in cui i due massimi partiti, Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano del segretario Enrico Berlinguer, iniziavano la collaborazione per traghettare il Paese verso una nuova stagione di riforme e stabilità economica. Un progetto soppresso nella culla per l’azione congiunta delle Brigate Rosse, che consideravano il Pci traditore delle istanze della Rivoluzione, unita agli ostacoli mossi dagli alleati Occidentali oppositori dell’entrata in orbita governativa dei comunisti. Uno scenario tra fautori della trattativa e rigidi sostenitori della “ragion di Stato”, per cui coi terroristi non si poteva scendere a compromessi perché avrebbe comportato per loro riconoscimento e legittimazione politica, e sul quale si infranse la speranza per Aldo Moro di tornare tra i suoi cari. “Nulla resterà di intentato per salvare la vita all’Onorevole Aldo Moro” , tante volte ipocritamente fu proferita questa frase in quei 55 giorni, come è risultata ipocrita tutta la ridda di ipotesi tendenti ad accreditare la tesi che Aldo Moro sia stato scientemente sacrificato affinché il corso politico italiano procedesse secondo i desiderata nord americani, e che i rapitori siano stati lasciati liberi di agire grazie alle “distrazioni” conniventi di servizi segreti nazionali e alleati, tanto che ancora oggi a 37 anni di distanza dai fatti, restano dubbi e gli interrogativi di sempre: “Ma è stato davvero fatto di tutto per liberare Aldo Moro?”, “Chi aveva interesse al fatto che Moro e Berlinguer non proseguissero il dialogo iniziato nel 1974 prodromico al Compromesso Storico?” , “L’Italia avrebbe avuto una storia differente se i due statisti avessero portato a compimento il frutto delle loro idee?“. A una parte di risposte, segnatamente quelle riguardanti quei disgraziati 55 giorni, il giovane giornalista Nicola Lofoco ha dato delle risposte piuttosto convincenti nel suo saggio “Il Caso Moro misteri e segreti svelati” per i tipi di Editrice Gelsorosso, nel quale corona il frutto quasi ventennale di studio e analisi del caso Moro, culminato con approfondimenti effettuati presso la Corte di Appello di Roma presso cui sono conservate le quasi 500mila pagine dei 5 processi concernenti il rapimento e l’assassinio dello statista democristiano. Lofoco studia tutte le carte riguardanti le tre date importanti della vicenda, il suo inizio 16 Marzo, il 18 Aprile data del falso comunicato delle BR, e il 9 Maggio il tragico epilogo, sbugiarda tante illazioni e ricostruzioni fantasiose grazie allo studio puntiglioso e certosino degli atti processuali, convince e ci convince sulla reale responsabilità dei dirigenti brigatisti, e, aggiungiamo noi, inconsapevoli strumenti di destini nelle mani di altri strateghi geopolitici. Sabato 12 Dicembre alle ore 18,30 presso L’eccezione di Puglia Teatro sotto la Direzione Artistica di Rino Bizzarro, per il ciclo Polvere di Stelle, Nicola Lofoco terrà un monologo sul caso Moro tratto dall’omonimo saggio, un occasione opportuna per conoscere e discutere sul caso che ancora oggi presenta degli aspetti controversi, comprendere se la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul caso Moro, la terza istituita all’alba della corrente Legislatura sia arrivata a qualche risultato di rilievo o se le novità rilanciate e definite sconvolgenti dagli organi di informazione, siano il maldestro tentativo di mantenere accesi i riflettori su di una vicenda la cui verità giudiziaria è assodata, e potrebbe cambiare soltanto in caso di ulteriori rivelazioni da parte degli autori materiali dei delitti. Alla discussione interverrà via Skype il giornalista Pino Casamassima, maestro del giornalismo di inchiesta, mentre l’attrice Floriana Uva interpreterà alcune lettere dalla prigionia dello statista.