Di Enzo Carrozzini
La settimana scorsa è stata caratterizzata da due questioni riguardanti l’attività industriale nel nostro Paese. Questioni, a sud come a nord, che proprio per la particolare sede in cui sono svolti, le aule di tribunale, suscitano una serie di interrogativi di non facile risposta, perché riguardano diritti fondamentali delle persone quali: il diritto alla salute, al lavoro, e alla salubrità dell’ambiente in cui vivono, che risulta essere pesantemente aggredito dalla medesima attività industriale. Ci riferiamo ai processi Eternit di Torino ed Ilva di Taranto, due facce della stessa medaglia. Il processo Eternit conclusosi a Torino il 13 Febbraio scorso in primo livello di giudizio, ha visto per la prima volta la condanna della omonima multinazionale produttrice di manufatti di cemento amianto, e di due massimi responsabili dell’azienda sebbene in epoche diverse. Il Tribunale di Torino presieduto Dottor Giuseppe Casalbore ha accolto in toto le richieste dell’accusa (nella persona del P.m. Raffaele Guariniello, validissimo magistrato impegnato in indagini riguardanti la tutela della salute delle persone) comminando 16 anni di carcere al magnate svizzero Stephan Schmidheiny e al barone belga Louis De Cartier de Marchienne, ritenendoli responsabili della morte di più di duemila cento persone (tra dipendenti e cittadini) a seguito dei danni subiti all’apparato respiratorio dovuti all’inalazione di fibre d’amianto, nonche’ di un numero imprecisato di persone ammalate. Il tribunale ha condannato i due proprietari al risarcimento di una cifra di circa 80 milioni di euro, a favore dei comuni e delle regioni in cui insistevano i quattro stabilimenti oggetto del processo: Casale Monferrato ( con 1600 persone, ha subito il maggior numero di vittime), e Cavagnolo (in provincia di Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli), oltre a disporre una provisionale di circa 35 mila euro per ogni vittima, nelle more che inizino i procedimenti civili di risarcimento. La sentenza ha dichiarato i due alti dirigenti colpevoli di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. L’Eternit a seguito fallimento, aveva chiuso gli stabilimenti in Italia intorno al 1986, ma le fibre d’amianto inalate dalle persone in tutti questi anni hanno continuato a produrre i loro effetti devastanti. Il Ministro della salute Renato Balduzzi ha commentato: “E’ una sentenza che si puo’ definire davvero storica, la battaglia contro l’amianto continua, nell’impegno delle Istituzioni e dei cittadini”. Il primo atto del processo finalmente rende giustizia alla lunga fila di vittime che in cinquant’anni hanno legato la loro vita alla multinazionale svizzera. La questione Ilva di Taranto sembra ripercorrere la stessa storia dell’Eternit, l’attività dell’acciaieria con le immissioni in atmosfera di polveri e gas, (benche’ da parte dell’azienda siano state adottate misure volte a limitarne la carica inquinante), e’ contrastata dai tarantini a causa dell’alta incidenza di malattie dell’apparato respiratorio, in alcuni casi con effetti esiziali, oltre a preoccupanti casi di malformazione dei nascituri registrati nel territorio, e grave danneggiamento delle attivita’ agricole e zootecniche. A Taranto siamo soltanto all’inizio della vicenda, ma il futuro dell’acciaieria e dell’economia cittadina, sara’ pesantemente determinato dalle decisioni che i giudici assumeranno. La sentenza di Torino, tuttavia, ha sancito un principio difficilmente controvertibile, ovvero : la prevalenza del diritto della salute dei lavoratori e dei cittadini, unita alla salvaguardia del territorio in cui vivono, rispetto agli interessi privati di aziende che non hanno propriamente come oggetto sociale il bene pubblico.