di Elena Manigrasso
Un elemento degno di nota, capace di far riflettere sul problema della Lingua italiana, si trova nella rubrica LEGGERE TUTTI N° 94, MARZO 2015. Si tratta della recensione di un romanzo di Massimo Roscia, LA STRAGE DEI CONGIUNTIVI; lo scrittore ha scelto come protagonista del suo libro … proprio il Modo congiuntivo. Si tratta di un romanzo Noir che cerca, attraverso la trama, di difendere la Lingua più bella del mondo (ndr, il commento è di parte).
Girolamo Terracini scrive la recensione di questo libro e l’attacco mira subito allo stato di dolore della Lingua: le emoticon non fanno che infliggere lance nel petto di Dante, dato che stanno letteralmente prendendo il posto delle lettere dell’alfabeto. Sono quelle ordinarie faccine che servono a descrivere uno stato d’animo, con la lacrima, col sorriso, col cuoricino e tante altre cose zuccherose che si vedono tra una parola e l’altra. Per non parlare di quel TVB che si trova in ogni dove, o QS usato anche da docenti universitari su FB per esprimere un loro commento. Mi chiedo: la lingua dei nostri padri ha delle regole diverse sui social? Al quesito ha risposto la mia alunna Alessia che aveva scritto un po’ di e senza accento sulla sua pagina FB. Alla mia correzione ha risposto: “eh, cara prof, qui le regole (suFB) sono diverse, è lei che si deve adeguare a noi. A scuola c’è lei a dettare le regole, qui ci siamo noi”.
Questo commento mi ha fatto particolarmente impressione. Due mondi, quello reale e quello virtuale che hanno regole diverse. Mi sembra terribile. Anche perché le regole reali sulla legalità vengono usate allo stesso modo sui social, come si fa con le regole grammaticali. Facendone carta straccia.
E allora questo signore dai modi garbati, quale è il congiuntivo, ci mostra che non è solo lui a cadere cadavere nei vicoli delle strade, in TV, nel mondo accademico, ma è la regola stessa del vivere civile che si sta sgretolando sotto i nostri piedi. Provate ad aprire il collegamento quotidiano tra adolescenti: un papà mi dice che rimane allibito per quante parolacce usi il suo figliolo, con risposte altrettanto volgari che non si fanno attendere, su whatsapp. Un figlio che non riconosco, mi dice. E allora se siamo allarmati perché fare finta di niente, perché avere paura di educare? È proprio questo il nodo della questione. Ognuno di noi ha gettato la spugna e chiede agli altri di educare il proprio figliolo. Offriamo agli altri la delega per educare i nostri figli. E si fa a scarica barile: tocca a me, no tocca a te.
Una mamma mi ha detto qualche mese fa “prof, lo dica lei a mia figlia di non portare il telefonino a scuola”. E lei signora? Le dico un po’ inquisitoria. No, a me no ascolta. Mi risponde. Gettare la spugna, a questo siamo arrivati come educatori, sperando e aspettando che qualcuno di buona volontà la raccolga per noi. Ma l’educazione non si lascia al caso, è un processo difficile di accompagnamento del minore che ogni adulto si deve prendere a cuore e a carico. A meno che l’adulto di oggi non voglia rimanere eterno adolescente, come se avesse bisogno lui di essere guidato. E sarebbero dolori di denti se fosse vero. Il decadimento culturale, della Lingua ci dicono cose ben più gravi di un semplice uso scorretto del congiuntivo. Ci gridano che la formazione dell’uomo sta andando a farsi benedire.
Buon Italiano a tutti
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