di Gianni Perilli*
Una splendida domenica di sole incorniciava Bari stamattina mentre raggiungevo dal Lungomare Piazza Ferrarese. Lo sguardo si perdeva sulla Muraglia e il Fortino che si stagliava all’orizzonte, attraversando i riflessi dorati dell’acqua antistante il Circolo della Vela. Pensavo a quanto fosse bella Bari mia che sapeva rapirmi in quel modo, ma mai avrei potuto immaginare che quella mi accingevo a vivere era una esperienza fra le più sorprendenti, meravigliose (in senso letterale) e pregne di storia che Bari potesse riservare, e di cui ciascuno di noi baresi è solo una pagina di un libro che qualcuno prima di noi ha scritto e qualcuno dopo di noi scriverà.
Doveva essere solo una passeggiata con Michele Fanelli, Presidente del “Circolo Dalfino” fra gli angoli di storia che il Borgo antico ancora sa conservare, illustrati come solo chi ama e vive nel quotidiano quei luoghi può fare. La passeggiata sarebbe terminata al Castello Normanno Svevo, di fronte a quel cancello chiuso che divide Bari e i baresi da quel luogo dove si sta consumando l’ultima violenza alla città e a quel senso civico di cui lo Stato dovrebbe farsi carico quando difende e tutela la bellezza. Doveva essere “solo” una giornata di sensibilizzazione, nelle intenzioni del Comitato Barivecchia Parco del Castello” a quello che Bari può e sa ancora essere e non è per la miopia di chi vorrebbe vedere il Davide soccombere a Golia. E’ stato qualcosa di più, è stato un immergersi nella storia, nei profumi, nelle musiche dello schiamazzare dei bambini e delle frasi di una poesia in vernacolo che raccontava di San Nicola e delle “donne da maritare”, di colori e di forme che sorprendono e lasciano estasiati. Ed è stato un momento di orgoglio di quello che siamo noi baresi che amiamo profondamente la nostra città, che forse non ne conosciamo tutta la storia ma la teniamo scritta dentro e la sentiamo parte di noi non appena qualcuno sa disvelarla con la grazia e quel pizzico di “carnalità” che ci appartiene.
E allora ecco Michele che parte dalla fontana “quatt’ facce”; passa per la Muraglia, proprio accanto al Fortino li dove da un lato si staglia la città vecchia e Santa Scolastica e dall’altro la parte nuova con il Murattiano e il Margherita, e racconta della “Vidua Vidue”; declama in vernacolo della “vacandina granne” all’interno di Palazzo Giotta; mostra con dolore le condizioni dell’edicola votiva olio su rame del Montrone che raffigura i tre patroni di Bari (San Nicola, San Sabino e la Madonna dell’Odegitria) proprio alle spalle della sinagoga ebraica e a due passi dalla Scuola di Grammatica dei Padri Gesuiti; e poi lo scorcio della Cattedrale dal lato del “campanile mozzato”… E ogni passo in quei vicoli era un passo all’indietro nel tempo e nella memoria, e un passo avanti verso una consapevolezza di quello che siamo e che potremmo essere. E pian piano si arriva al fossato del Castello, dove Michele Fanelli lascia la parola all’architetto Cucciolla che racconta di quello che potrebbe essere quel Parco del Castello proprio li dove oggi ci sono cancelli chiusi e auto in sosta. Spiega il senso di quello che sarà la giornata di martedì 14, a 24 ore dalla pronuncia del TAR sul ricorso presentato da 36 Associazioni e 1500 cittadini verso la realizzazione di un’idea che era della città ben prima di quegli scavi e quei plinti aldilà della cancellata.Un’idea al quale contribuiranno anche i bambini delle scuole di Bari vecchia, che disegneranno martedì il Parco che loro sognano e che noi possiamo e dobbiamo consegnare a loro e a chi verrà dopo di loro. Un Parco segno dell’amore per Bari dei baresi, un Parco che viene da lontano e la proietterebbe nel futuro.
*L’autore è giornalista e blogger .
foto di Gianni Perilli