di Giambattista Tagliani*
Sull’homepage del Corriere della Sera online, di oggi 29 Luglio 2014 Manuele Bonaccorsi aggiorna i lettori sulla vicenda della messa in liquidazione de L’Unità testata storica del PCI prima e DS poi, fondata da Antonio Gramsci.
Bonaccorsi riporta la notizia che nei giorni scorsi il tribunale civile di Roma ha emesso tre ingiunzioni di pagamento per una somma complessiva di circa € 110 milioni (al netto degli interessi di mora) a favore di alcune banche (BNL, Intesa San Paolo e Banca Popolare).
Il “debitore”destinatario delle ingiunzioni? Palazzo Chigi.
Non ci sarebbe alcuna notizia se non fosse che il debito da sanare non è stato prodotto dal Governo ma dalla testata fondata da Gramsci.
Palazzo Chigi è incappato in quest’inattesa grana in ragione di un provvedimento promulgato del governo presieduto da Romano Prodi nel 1998.
Fino a quella data lo stato era garante dei debiti della testata ma dopo quella data è stata concessa la facoltà di trasferire i debiti anche a soggetti diversi dalla società editrice qualora i soggetti creditori non riuscissero a recuperare le somme dai debitori originari. In sintesi, non riuscendo le banche a farsi restituire i soldi dall’editore, hanno potuto rivolgersi a chi garantiva i debiti, che a causa del provvedimento citato poco fa, diventava garante in solido, quasi la garanzia fosse una fideiussione a prima escussione.
Diverse sono le anomalie che si riscontrano.
La prima è che lo stato si faceva garante dei debiti accumulati dalla testata e non di somme impegnate a titolo di investimento. Oggi infatti ci sono diversi fondi di garanzia pubblici in favore di imprese private. Ma non garantiscono i debiti accumulati nel tempo. Garantiscono dei prestiti, concessi dalle banche ed ottenuti dalle imprese per lo sviluppo dell’attività.
Se poi l’impresa non è in grado di far fronte all’impegno assunto lo stato garantisce le banche erogatrici.
L’anomalia sta nel fatto che se con i fondi di garanzia lo stato si impegna a sostenere un impresa che vuole innovare o potenziare la produzione, nel caso de L’Unità lo stato ha finito per condonare la sua cattiva gestione.
La seconda anomalia sta nel fatto che L’Unità, come molte altre testate beneficia dei contribuiti all’editoria. Che non sono finanziamenti garantiti ma iniezioni di risorse a fondo perduto. Lo stato agisce come fosse un socio che fa un aumento di capitale, pur non avendo nessuna responsabilità giuridica nei confronti dell’editore, tanto meno alcun potere gestionale o di indirizzo.
E questi non sono i soli contributi a sostegno del settore.
Ogni anno lo stato versa alle Poste una cifra attorno ai € 50 milioni a titolo di compensazione per le agevolazioni che le poste concedono agli editori per la distribuzione delle copie.
L’Unità ha ottenuto nel periodo 2003 – 2012 (su Governo.it non sono disponibili dati relativi agli anni antecedenti il 2003) contributi per un totale di quasi € 60 milioni.
D’impulso viene da chiedersi come può un giornale che nel 1974 aveva una tiratura di 239.000 copie andate via via calando fino alle 21.000 del 2014, che ha beneficiato di cospicui contributi pubblici e che ha venduto, come tutti, spazi pubblicitari sulle proprie pagine, accumulare un debito così ingente.
Anche perché non sono mancati gli interventi di investitori privati che hanno immesso, nel tempo, nuovi capitali oltre quelli del partito.
Nel 1997 Alfio Marchini (rampollo di una nota famiglia di costruttori romani, recentemente protagonista della corsa alla poltrona di Sindaco di Roma) e Giampaolo Angelucci (Presidente di Tosinvest dove tra gli altri dal 1986 lavora il fratello dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, imprenditore della sanità oltre che dell’editoria con Il Riformista e Libero) entrano nel capitale del giornale.
L’Unità era già indebitata ma l’iniziativa di allegare film in cassetta all’edizione del sabato aveva riequilibrato i conti.
Paradossalmente poi quest’idea fortemente innovativa per l’epoca è stata pregiudicata proprio dalle due testate “amiche” Repubblica e l’Espresso che l’hanno replicata con altrettanto successo, ma a spese dell’Unità.
Buffo che proprio sulle colonne di Repubblica Michele Serra nel 1998, parlava di “delitto perfetto” ignorando che la causa della crisi de L’Unità potesse esser proprio il suo giornale.
Sempre nel ’98 la redazione composta da 123 (!!!!) giornalisti si è addirittura autoridotta lo stipendio pur di salvare la testata.
E’ poi il turno dell’imprenditore Alessandro Dalai che lasciata l’Einaudi dopo il successo (però sgradito allo stesso Giulio Einauidi) de “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano” di Gino e Michele, grazie al successo dopo aver rilevato la Baldini e Castoldi, riunisce un gruppo di imprenditori per cercare di salvare L’Unità.
Nel 2007 l’assemblea dei soci respinge il tentativo di scalata dell’ex socio Angelucci (per difendere la coerenza ed il radicamento della testata), e nel 2008 è la volta di Renato Soru, fondatore di Tiscali ed al momento Presidente della Regione Sardegna (fu sollevata la questione conflitto d’interessi ma non ne segui nulla). Da quella data ad’oggi i bilanci de L’Unità non sono però migliorati e l’11 Giugno scorso la società editrice è stata formalmente messa in liquidazione.
E’ la storia di un’importante quota del patrimonio storico nazionale che è ad un passo dall’esser chiusa.
Un centinaio di lavoratori, di Persone sta per perdere il proprio lavoro.
Paradossalmente queste stesse persone dovranno contribuire a pagare i debiti accumulati nel tempo dagli editori, dato che sarà lo stato a dover farvi fronte. Eppure a nessuno degli editori è contestato alcunché.
Senza dubbio un sistema fondato su contributi a fondo perduto stimola tutto fuorché un’accorta e sana gestione. Il Fatto Quotidiano ne è la prova più lampante. Un giornale può e deve fare a meno dei contributi. Nessun altro settore privato gode di analoghi benefici. Tante sono le imprese, illustri e rilevanti quanto L’Unità sono state fatte fallire nell’indifferenza generale e di conseguenza tanti sono stati i seri e fedeli lavoratori che hanno perso il posto.
E’ inaccettabile che esistano soggetti privilegiati che sono finanziati a fondo perduto per produrre, incassano i proventi della pubblicità e godono di agevolazioni nella distribuzione del loro prodotto e da ultimo, se mal gestiti garantiti in nome di un principio. E’ altrettanto inaccettabile che questa vicenda sia ancora una volta il prodotto della commistione fraudolenta tra politica ed imprenditoria privata che poi di privato finisce di aver ben poco.
Sarà forse dovuta alle tre ingiunzioni la litigata tra il premier Renzi e suo “fratello” Luca Lotti sottosegretario con delega all’Informazione e Comunicazione del Governo e all’Editoria?
Nel 1991 L’unità ha cambiato il proprio sottotitolo da “Quotidiano del Partito Comunista” a “Quotidiano fondato da Antonio Gramsci”.
Perché non pubblicare gli ultimi numeri prima della chiusura con il sottotitolo “Quotidiano sostenuto e pagato dal popolo italiano”?
*giornalista e blogger (The Gyan blog.spot)