di Elena Manigrasso
Fiabe e leggende di Terra d’Otranto, di Cosimo Rodia, edizioni Progedit, è una raccolta di 45 fiabe recuperate dalla tradizione orale nell’area geografica della vecchia provincia pugliese (Lecce, Brindisi e Taranto), illustrata in modo accattivante da Francesca Noya e prefata da Angelo Nobile, docente Università di Parma, che offre al lettore una guida per inoltrarsi nei racconti di Rodia e comprendere subito il collante tra le fiabe, i metaconcetti espressi nei personaggi, gli archetipi riscontrabili nelle storie.
I racconti dello scrittore tarantino sono legati alle masserie, ai vigneti, agli ulivi secolari dalle foglie argentate, tra le quali rimangono imbrigliati i raggi di sole e l’odore del mare. Non mancano chiaramente i personaggi in carne ed ossa, l’eroe e l’antieroe. In genere è il contadino e il massaro ad avere la parte principale, tanto da rubare addirittura la scena al re. Questa idea del contadino spesso furbo, rozzo di modi ma di mente acuta, alcune volte ingenuo o gabbato dal pastore, è di antica memoria. Lo troviamo nelle novelle del Boccaccio o ancor più nell’opera secentesca di Giulio Cesare Croce “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno”.
Come nella tradizione medievale il popolo nelle fiabe non urla, sussurra appena, vinto dalla fame e dal giogo del sovrano. Proprio per questo stato di subordinazione il contadino in questi “cunti” immagina il riscatto sociale attraverso la magia, l’opera di fattucchiere e di pozioni magiche, anche se i filtri magici in questo caso sono sostituiti da pane, formaggio, olive. Elementi con poteri straordinari che solo nelle fiabe meridionali possono trovarsi: questo era quanto conoscevano i villani, non certo le bacchette magiche; era già un miracolo portare il pane, un po’ di olive e un bicchiere di vino sulla tavola! Già, e questo poteva fare invidia alla comare, vicina di casa, che non aveva neanche quell’essenziale. In genere le donne invidiose sono anche brutte e col naso ricurvo, mentre le principesse sono sempre belle, sole e indifese. In alcuni casi, per un amore non corrisposto o per tradimenti, le belle fanciulle finiscono nei flutti del mare per mano dell’uomo: sotto le vesti del mito si nascondono, evidentemente, non pochi drammi familiari. Tanti gli spiritelli che vagano tra tratturi e masserie; certamente bambini morti prematuramente come avveniva agli inizi del ‘900 nel Sud, tanto da non avere avuto la possibilità di ricevere il battesimo; piccoli che diventano nell’immaginario collettivo laùri.
E si continua con storie di nani, giganti, bambine e piccole bambole di pezza. Storie con personaggi del paese che sicuramente avevano lasciato dei segni tanto nel bene quanto nel male. Molti i bimbi, preti, fanciulle che si perdono nei pozzi delle campagne. E queste storie ci portano anche a fatti recenti, come a voler dire che si tratta di fiabe, con radici però che affondano in tragedie realmente consumate e trasformate in …c’era una volta, con l’omicida che si trasforma in orco e la fanciulla in sirena. Ma si scorge il dolore e la presenza della donna con la falce di luna.
Racconti quelli di Rodia costruiti come le cattedrali gotiche, ovvero, con capitelli con draghi, pietre con proverbi popolari, gocciolatoi a forma di leoni, dipinti del Vecchio e Antico Testamento, storie di Santi ma anche di personalità illustri del paese. Tutti questi elementi si trovano in compiuta contaminatio nelle fiabe e leggende di Terra d’Otranto, e la narratio porta il lettore ad ondeggiare tra santi, contadini e massari, fin quasi a perdere l’equilibrio, ma questo è il bello dei racconti popolari: far perdere l’equilibrio a chi ascolta di fronte all’inatteso. Buona lettura.
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