di Enzo Carrozzini
Andare a ristorante in un palazzotto del tardo 800, adiacente al Castello di San Giorgio Ionico,
incrociare sapori dell’antica tradizione dell’arte culinaria della nostra terra, bagnarli col vino della “Vigna”, la cantina di famiglia che dal 1887 produce eccellente nettare dei vitigni dell’area Jonico – Salentina, e immergersi nel museo degli antichi mestieri della civiltà contadina, al quale si accede da una piccola porta della sala. Il Signor Tripiedi ci ha mostrato con orgoglio il museo su due quote che conserva migliaia di pezzi collocati in uno spazio angusto talmente ricolmo da non farne distinguere i contorni, frutto di un appassionata raccolta di più di quaranta anni. E così ci si ritrova al cospetto di attrezzi ordinati per categoria che richiamano le nobili arti di Maestro d’ascia, Ebanista, Sarto, Calderaio, Stagnino, Ciabattino, Lattoniere, Sellaio, Vasaio, Cannizzaro, Cestaio, Muratore, Cavamontì, Ferraio, Bottaio, Ombrellaio, Orologiaio, Seggiaio Maniscalco, Arrotino, Carradore, Acquaiolo, il Cavadenti, Sellaio e tanti altri, nel giardino interno, come una scenografia che ti fa percorrere un salto di centinaia di anni nel passato, sono ricostruite vecchie consuetudini di vita quotidiana:
La Casa tipica contadina, L’Orto, La Cantina del vino, La Stalla, II Pagliaio, La Rimessa con attrezzi agricoli, II Granaio, II Magazzino, La Sala della tessitura.
Dice bene il sig. Tripiedi, “il museo è uno strumento per valorizzare la nostra cultura e la nostra storia”. La storia del nostro sud, che è ben più antica di quella partita dall’Unità d’Italia, quelle radici che trovano linfa vitale nella Magna Grecia. Il Museo degli antichi lavori meriterebbe ben più degna collocazione, ad alcuno sfugge la riflessione che una valorizzazione dei tesori in esso conservati recherebbe beneficio a tutta l’economia del territorio. Una riflessione che, purtroppo, non trova alcun asilo presso le Istituzioni locali.