Dott.ssa PAOLA BOZZANI*
Spesso passando per via Caldarola mi capitava di vedere un’antica costruzione, abbastanza deteriorata, che catturava la mia attenzione per la sua eleganza.
Nello studiare le carte di un protocollo notarile del notaio Nicola de Rella Ramires- il quale ha stipulato nel tempo diversi contratti per la famiglia che nella seconda metà del ‘700 aveva acquistato il palazzo dove attualmente abito, palazzo Zeuli, che appunto da questa famiglia ha preso il nome- ho ritrovato descrizioni che solo in un secondo momento ho collegato alla palazzina di via Caldarola.
Erano gli Zeuli una famiglia nobile originaria di Brisighella, frazione di Faenza, trasferitasi a Napoli tra la nobiltà extra sedile e di lì venuta a Bari nei primi anni del XVIII secolo.
Dunque, nello studiare le carte relative alla storia del mio palazzo e delle famiglie che lo hanno abitato nel tempo, mi sono imbattuta in un contratto di fitto del giardino di proprietà degli Zeuli di “ aratra 9”, sito in località Caldarola, stipulato tra Diego Zeuli anche a nome dei suoi fratelli e Tommaso e Giuseppe di Fano, contadini, in cui era citato il “Casino” di villeggiatura della famiglia.
Sono andata, allora, a riguardare un documento di concordia e divisione tra i fratelli Zeuli, rogato a Bari nel 1808, sempre dal notaio de Rella Ramires, a seguito della morte del padre Onofrio e della madre Teresa di Bisogno, cui è allegato “l’apprezzo di tutti li casamenti e del palazzo e casino delli signori Zeuli esistenti nella città di Bari” redatto il 9 dicembre del 1803 da Giuseppe Mastropasqua, regio ingegnere, alunno di Giuseppe Gimma e da questi firmato.
Infatti nel documento di concordia si legge: “inoltre asseriscono possedere la di loro famiglia Zeuli diversi casamenti in detta città e campagna siti in questa città di Bari e suo tenimento li quali furonomisurati e valutati dal regio ingegnere Giovanni Mastropasqua, siccome rilevasi dagli atti di suo apprezzo, segnati sotto il dì 9 dicembre 1803 che in questo si inseriranno” e poco dopo, nell’elenco delle proprietà immobiliari: “Uno casino nobile sito fuori le mura di questa città sulla strada pubblica di Caldarola, con tutti i suoi membri superiori ed inferiori annessi, valutato dal suddetto ingegniere per docati milleseicentonovantuno e grana sessantanove” e infine “…il sopradetto casino alla strada di Caldarola valutato per docati milleseicentonovantuno e grana sessantanove il quale non dà veruna rendita come corpo voluttuoso e di delizie” , tutte affermazioni a cui precedentemente non avevo fatto caso, non avendo collegato il casino di cui trattasi a villa de Sario.
Scorrendo le pagine ho quindi trovato allegato tra gli apprezzi delle altre proprietà l’ “Apprezzo e canneggio del Casino delli signori Zeuli sito nel giardino a Caldarola” ed ho potuto constatare che
contiene, effettivamente, la descrizione di tutte le parti di villa De Sario per come si presentava all’epoca, misurate in palmi napoletani e, infine, valutate con la moneta del tempo.
Secondo le misure di Mastropasqua il muro della facciata della villa aderente alla strada risulta essere alto palmi 64, lungo palmi 42 e profondo palmi 3 e 1/2 e, considerato il valore all’epoca del palmo napoletano (cm 26,5), si ottiene un rettangolo di metri 16,96 per 11,13, il muro, inoltre,è spesso metri 0,93, naturalmente le misure riportate per la facciata interna sono le stesse.
I muri laterali hanno, invece, le dimensioni di palmi 33 e 1/2 per 42 e sono spessi palmi 4.
Il piano terra risulta così composto: una grande anticamera, con due “stiponi” alti palmi 14 e 1/2, due stanze quadrate di uguali dimensioni di palmi 16 per 16, una adiacente alla scala, e l’altra
descritta come stanza da pranzo con due stipi e un finestrino. La cucina, pavimentata con una? “selciata” in pietra, presentava un grande “focolaio” di palmi 10 per 12, con le fornacelle di palmi 8 per 4, un lavatoio di pietra lavorata e il “boccale” del pozzo.
Il primo piano, il piano nobile, era composto da una sala grande di palmi 34 per 18 e da tre stanze della stessa dimensione di palmi 16 per 15 e 1/2 che dovevano fungere da stanze da letto.
La villa presentava inoltre, sulla facciata principale, oltre al portone grande, due portoni laterali; era sovrastata da un cornicione che circondava l’edificio di “carpo di tufo” (probabilmente carparo) e dieci finestre ornate da un “lavoro di palmi 45”, dello stesso tufo. La villa ai quattro angoli era ornata da “quattro riserti di pilastri… di palmi 6 per 40 con le basi” e nella parte interna, superato il portone piccolo di ingresso al giardino, vi era un atrio costituito da una “selciata” in pietra sul cui lato destro si affacciavano due stanze con le porte a vetri.
Ancora più interessante risulta essere, non solo per la descrizione dei luoghi, ma anche per indagare gli usi del periodo, il documento di fitto del giardino, situato sul lato del giardino privato degli Zeuli, il contratto ,infatti è ricco di particolari sul tipo di colture, sulle clausole del contratto e sugli obblighi delle parti, specificati in 20 punti.
Il giardino si veniva fittato a corpo e non a misura per 4 anni, dal 20 gennaio 1803 fino al novembre del 1807 per ducati 850 l’anno da pagarsi in due “tanne” (rate) a fine agosto e a fine ottobre ed era
rinnovabile per altri 4 anni al costo di ducati 100 l’anno.
Come, presumibilmente, avviene anche oggi i padroni si impegnavano a riparare a proprie spese le parti relative alla struttura del giardino quali il muro di recinzione ecc…; gli affittuari a portare avanti ogni anno le coltivazioni, a zappare la terra, a potare le viti, a fare “la sporga” degli alberi, nominando un potatore esperto e pagando gli eventuali danni da questo procurati.
Il contratto comprendeva molte clausole specifiche: gli affittuari si impegnavano a piantare nelle parti vuote del giardino alberi da frutto di ottima qualità, prugne, pere spadone, pere “overnili” o angeliche, a sostituire gli alberi morti, gli Zeuli, da parte loro, si riservavano la facoltà di mandare un esperto che decidesse le zone da tenere a maggese e a “ristoppie” e da seminare e che controllasse la tenuta.
I fratelli di Fano si impegnavano inoltre a moltiplicare le piantagioni di fragole sotto il pergolatoe a mantenere le 2.000 piante di cardoni di cui era già ricco il giardino.
Gli Zeuli oltre l’affitto pretendevano fossero a loro riservati i frutti del “dattilo”, dei sambuchi, dei noci, dei noccioli e per contratto gli spettavano ogni anno tre rotola di fragole e tre “sporte” di quattro rotola dei frutti migliori del giardino. Gli Zeuli si impegnavano, poi, a sostituire a proprie spese i travicelli deteriorati delle viti e le colonne di pietra, mantenendo il diritto di estrarre tufi nei periodi in cui non vi fossero frutti.
Il giardino aveva in dotazione due “ingegni ben accomodati” per tirare l’acqua dai “piloni” . I fratelli de Fano avrebbero dovuto nominare un esperto di campagna che avrebbe valutato i frutti già maturati per risarcire il prezzo ai vecchi affittuari, padre e figlio de Vurro, i quali, invece, dovevano ai nuovi affittuari l’importo del valore delle canne che si trovavano in diversi luoghi del giardino, cioè davanti al pozzo, vicino alla torre, dentro il “Fusaro” e, infine, “vicino alla parete grande del detto giardino dei suddetti signori Zeuli che sporge alla via pubblica denominata di Caldarola attaccata al ficaro di Giuseppe Ladisa” .
Gli affittuari si impegnavano inoltre ad occuparsi del giardinetto riservato agli Zeuli, come del loro Casino, con la stessa attenzione con la quale custodivano il loro terreno in modo che non venisse aperto e non vi fossero furti e questo per tutto il tempo dell’affitto sia in inverno che durante il tempo della villeggiatura degli Zeuli. ?
E’ stata proprio quest’ultima parte del contratto che mi ha fatto pensare alla bella villa di via Caldarola ed iniziare le ricerche.
In conclusione la villa De Sario era certamente già costruita a fine settecento altrimenti, nei documenti, come di consueto, sarebbe stata usata la formula “ Casino nuovo”.
Per attribuirla alla prima o alla seconda metà del 700 andrebbero effettuate ulteriori ricerche in archivio, oggi impossibili per via del covid 19; del resto nella facciata principale sono ancora riscontrabili elementi neoclassici attribuibili a XVIII secolo, nonostante i notevoli rimaneggiamentisubiti presumibilmente all’inizio del 900.
P.S. . Le parti tra virgolette e le notizie riportate sono tutte tratte dai protocolli notarili, degli anni citati, del notaio Nicola de Rella Ramires, conservati presso l’Archivio di Stato di Bari. I tre puntiall’inizio o all’interno delle frasi fra virgolette indicano l’omissione di una parte della frase.
*Ricercatrice Storica Già Ispettrice della Sovrintendenza Archivista delLa Puglia.