di Enzo Carrozzini
Occhi arrossati e spalancati grondanti di lacrime secche, volti sfigurati da smorfie che solo un dolore profondo può creare, mani conserte, mani che si tormentano, mani posate, ancora incredule di assistere ad un rito che vede i propri congiunti rinchiusi in un involucro che avvolge quella che è stata consistenza, carne, sentimenti, unicità di quel che resta di persone, precipitate nel baratro dei 70 metri del ponte Morandi nel tratto autostradale cittadino di Genova, meraviglia del tardo boom economico, crollato dopo 51 anni in un buco nero che avvolge il Bel Paese nelle sue infrastrutture fisiche, civili e morali.
Il rito funebre che saluta una parte delle vittime del crollo, nel momento in cui ancora si scava per trovare qualche persona, mentre i familiari delle altre vittime(delle 41 finora accertate) hanno declinato la formula dei funerali di Stato, aldilà delle passerelle della classe politica antica e nuova, aldilà delle responsabilità che saranno accertate dalla magistratura per una tragedia che, per gravità, ricorda il crollo della Diga del Vaiont, non sarà facilmente dimenticato, non soltanto per il momento di preghiera collettiva che ha unito cristiani e musulmani per la presenza di due vittime dell’altra religione monoteista, ma soprattutto per la consapevolezza che tragedie come quella del 13 Agosto 2018 segnano il discrimine su come, a torto o ragione, sono state condotte le politiche infrastrutturali del Paese e pongono seri interrogativi sulle future gestioni.
Intanto piangiamo la perdita di 41 vite per la decadenza del nostro sistema.
La tragedia di Genova come metafora delle condizioni del Bel Paese. L’italia è obsoleta non soltanto nelle sue infrastrutture nate all’indomani del secondo conflitto mondiale, lo è nella classe dirigente nel suo insieme che non ha saputo accompagnare lo sviluppo economico con politiche attente alla conservazione del territorio: costruzioni a ridosso di lame, tombatura di fiumi (e Genova con le inondazioni che ancora subisce ne è emblema), frane, smottamenti, erosioni costiere, concessioni edilizie a piè sospinto, insomma una serie di scelte dissennate che continuano a mietere danni umani e materiali, dettate dal favoreggiamento di interessi particolari su quelli collettivi. L’interesse collettivo, a maggior ragione, attiene la gestione del patrimonio infrastrutturale dello Stato come quello autostradale, soprattutto per la sicurezza degli utenti, e allora riteniamo corretto l’operato del Governo pro tempore di aver dato l’avvio alla procedura di revoca della concessione della gestione della rete autostradale all’attuale concessionario, Autostrade per l’Italia /Atlantis, società facente capo al gruppo della famiglia Benetton, che gestisce buona parte delle autostrade. La procedura consente al concessionario 15 giorni per rispondere ai rilievi sollevati dal Governo, ma l’epilogo difficilmente avrà tempi brevi, aldilà delle pur comprensibili dichiarazioni emotive espresse dai responsabili governativi. Il ruolo della Magistratura sarà unico e determinante nella ricerca delle responsabilità di questa immane tragedia,(rifuggendo la scelta della creazione di inutili commissioni parlamentari di inchiesta), riteniamo che un’indagine a livello sferico del sistema, capace aprire squarci di verità sulle politiche delle privatizzazioni e sulle concessioni di beni dello Stato a monopoli privati, possa ridare fiducia agli italiani, soggiogati ormai da quella sorta di “sequestro emotivo” (cit. Luca Bottura) che impedisce loro sensate riflessioni in grado di sollevarsi ben oltre le pur rispettabili logiche di posizionamento.
E’ necessario uno sforzo collettivo, per le vittime di Genova, per l’Italia, per tutti noi….