Piumini ha fatto nuovamente centro con Quel che finisce bene, un libro di nove storie vere o verosimili di infanzie negate, di diverse latitudini.
I protagonisti. Consuelo è una bambina andina, rubata ai genitori, che dopo essere scappata dall’asservimento, con l’aiuto di un’educatrice riabbraccia la madre; un racconto in versi, di quartine a rima alternata, capace di originare atmosfere sognanti, quasi per dare lontananza spazio-temporale alla violenza degli adulti. Segue la storia di un naufragio di migranti nel Mediterraneo col lieto fine, che prevede la ricomposizione della famiglia dopo che genitori e figli erano stati salvati da navi differenti; una maschera appena che mal cela la catastrofe, anche se è un modo di far guardare in faccia la realtà. Bem è un bambino di Nairobi che vive negli slum e mangia rovistando nella discarica; ha provato a bere la “corta” (colla e trielina) che anestetizza la fame e brucia il cervello, ma si salva grazie ad un campione di arte marziale keniano che lo raccoglie nella sua palestra-convitto-scuola. Un bambino di Haiti è aiutato da un medico francese dopo il terremoto. Casimiro è un immigrato polacco che giunge in Italia in un Tir. Poi, il tema raccapricciante dei neonati abbandonati in Cina da parte di famiglie che non possono pagare le multe imposte dallo Stato per il controllo delle nascite; a parlare è un cagnolino randagio in cui si specchia Eden, la bambina cinese adottata da una famiglia statunitense. La piccola Tilly, invece, a Mahikao Beach diffonde l’allarme e salva vite umane dallo tsunami del 2004 in Thailandia. Mihal è un rumeno che dopo essere stato un immigrato aiuta i suoi connazionali in Italia a superare i disvalori dello Stato-vampiro. Tripti, in Bangladesh, prima impara e poi insegna a nuotare per salvarsi dagli allagamenti che arrivano puntuali coi monsoni.
Un libro sorprendente che ha due testimoni di eccezione: la prefazione di Samantha Cristoforetti (celebre per i suoi 200 giorni passati nello spazio), Goodwill Ambassador dell’UNICEF; e Bianca Pitzorno che in appendice spiega gli articoli della Convenzione dei diritti dell’infanzia.
Quadri realistici, che pur nella loro drammaticità (ora reale, ora verosimile), iniettano una dose di fiducia nei giovani lettori, invitando indirettamente a non scoraggiarsi, perché nel mondo c’è sempre qualcuno che tende la mano. Inoltre, il libro spinge a non abbassare mai le luci della ribalta sulle infanzie oltraggiate, proferendo ai lettori di ogni età che un bambino che soffre è un problema che interessa tutti.
Piumini semina questa sensibilità, sfoderando tutte le sue armi a disposizione, usando stili e registri diversi (versi, e-mail, diario, pagine di cronaca, filastrocche…) definendo così delle perle narrative che intercetteranno facilmente i gusti dei lettori e ne solleciteranno le passioni.
Cosimo Rodia
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