Odio il Piccolo Principe di Anna Vivarelli si apre in medias res. Lorenzo, un adolescente veneziano, apprende di essere stato adottato; la frustrazione lo spinge a pensare che le eccessive preoccupazioni dei genitori scaturiscano dal non essere figlio biologico. Di fronte agli atteggiamenti del ragazzo, i genitori decidono di responsabilizzarlo e mandarlo a bottega da un “mascarer” e, a conclusione della scuola, dalla nonna a Torino.
Nella città piemontese Lorenzo lavora e conosce gli amici della nonna, tra cui Janica di cui rimane attratto. Nel frattempo pensa ad un piano di fuga per cercare il vero padre; ma tra i propositi e la realtà passa l’abisso, così quando lo realizza, dura pochissimo. Torna dalla nonna, che l’attende per un chiarimento forte; la vecchina gli svela che la sua mamma non biologica è stata adottata, che il “mascarer” veneziano in realtà è stato suo marito, col quale la mamma ha litigato per aver dubitato che amasse il figlio adottato.
A completare il ravvedimento di Lorenzo, giunge la storia di Janica che rimasta orfana, vive nella indigenza, con la prospettiva di tornare in Moldavia; così Lorenzo comprende di essere stato fortunato ad avere due genitori che l’hanno amato; telefona alla madre per scusarsi e per proporre di adottare anche Janica.
Anna Vivarelli si è cimentata in più occasioni su questioni delicate, ma con questo romanzo si è superata sia per la pregnanza del tema, sia per il modo in cui ha presentato il sentimento del protagonista; il lettore, infatti, si trova davanti un ragazzo mimetico, che cambia plasticamente nel corso dei capitoli; Lorenzo dal disagio e dalla aggressività passa alla consapevolezza e al riconoscimento del dono affettivo.
E per rappresentare una tale trasformazione umana, l’Autrice piemontese usa tutti gli espedienti narratologici: dalla metonimia alle mezze verità; dalle diverse storie che si sovrappongono per riflettere uno status, una condizione, uno stato d’animo, ai vari personaggi; al climax.
Odio il piccolo principe è un tentativo riuscito di rappresentare su uno schermo una frustrazione dolorosa, per trasformare il patimento in riconoscenza umana e in gioia di vivere. La destrezza di Anna Vivarelli è di creare una serie di reagenti psicologici per attutire la forza d’urto di quelle verità che devasterebbero chiunque. Crea una famiglia con una mamma, orfana ella stessa e adottata, in combutta coi genitori per la eccessiva attenzione educative verso il suo bambino; crea una ragazza orfana di padre, poi anche di madre, che vive nel limbo dell’attesa e nei quartieri ghetto degradati…
Con questi meccanismi narrativi la Vivarelli permette a Lorenzo di proiettare nell’altro i propri drammi e guardarli con occhi disincantanti. La dolorosa consapevolezza di essere adottato, crea un groviglio di pensieri negativi: si oppone ai suoi genitori per essere guide attente e apprensive; si oppone al mondo della scuola e alle relazioni con i coetanei. L’handicap psicologico è un peso da renderlo inadeguato in qualsiasi luogo. Così l’Autrice crea un’orchestra di personaggi, di luoghi, di foto ingiallite, di vite degradate, di attese…, per ridare occhi nuovi al protagonista e fargli vivere con adeguatezza le opportunità che il mondo gli preserva.
Un romanzo intenso, emozionante, straripante di umanità. Un grattacielo narrativo costruito con un materiale delicato, fragilissimo, ma manipolato con sapienza da una scrittrice (calviniana per leggerezza e rapidità narrativa) che è stata nel contempo una donna, una mamma, una pedagogista, una psicologa, una educatrice.
Un libro che tocca nei capitoli diciotto e diciannove atmosfere di grande suggestione emotiva da non lasciare indifferente il lettore, anzi da accompagnarlo a riscrivere il suo stare nel mondo, che preveda il noi e una mano tesa verso il prossimo e la consapevolezza che la storia individuale si scriva stando insieme agli altri, nella reciprocità. L’egoismo porta ad un vicolo cieco in cui nessuno può sentirsi alla fine completamente soddisfatto; al solipsista non può che rimanere il gusto amaro della solitudine. Ma la vita è bella e come tale presuppone la gioia anche di vederla esplodere nell’altro da sè.
Vivarelli ci consegna un romanzo maturo per un tempo in cui siamo consapevoli delle pieghe e dei chiaroscuri della nostra mente, dell’essenzialità di saper (e dover) discernere il grano dal loglio.
È un racconto che ha un apparente lieto fine, perché il resto: la crescita, la quotidianità, gli obblighi morali e affettivi di Lorenzo, di Janica… sono tutti da scrivere, ma questo è evidentemente un’altra storia; a noi preme sottolineare che ci troviamo di fronte ad un romanzo che esalta, in filigrana, due sentimenti: la riconoscenza e la capacità di perdonare, che sono due valori con cui può rinascere un nuovo umanesimo.
Cosimo Rodia