di Elena Manigrasso
Fare quattro passi in paese dopo un avvenimento culturale è a dir poco interessante. L’8 marzo, in occasione della giornata internazionale della donna, ho fortemente voluto insieme ad altre donne forti e determinate, la messa in opera di una piece teatrale scritta a quattro mani con Azzurra Convertino e realizzata con Tiziana di Napoli dal titolo “Storia di un amore dimenticato nel buio delle stelle”. Lo spettacolo di narrazione organizzato dall’amministrazione comunale e da CarosiNødiscariche, è stato un omaggio a tutte le donne che vivono la sofferenza di un amore malato. Un volo verso la libertà per rivendicare il diritto delle donne alla felicità. Abbiamo allestito il luogo più bello del paese, il castello D’Ayala Valva, con fazzoletti rossi e con messaggi di pace, contro ogni violenza di genere; tra quei panni quasi stesi al sole abbiamo recitato con la presenza di un folto pubblico assorto, silenzioso, pungolato dalle parole. Le parole scorrevano in monologhi interiori come un fiume in piena, eravamo in scena e non c’erano applausi, solo silenzi. Ma la spiegazione è venuta alla fine quando le mani del pubblico battevano fortemente e nessuno lasciava il suo posto, quasi tramortito l’ascoltatore, quasi in trance.
Una ragazza col cappello fino agli occhi si è avvicinata il giorno dopo riconoscendomi e riempiendo l’evento di complimenti: siete state bravissime, ha esordito, eravate in tre sul palco ma le cose dette vibravano e si moltiplicavano. Io quelle parole me le sono portata a casa, e prima di dormire ci ho pensato su.
Una signora con la macchina ha abbassato il finestrino e mi ha detto: eravamo tutti ammutoliti, non siamo abituati a questo genere di spettacolo, eravamo pienamente nelle vostre mani, un pubblico soggiogato e scorticato con le parole-punteruolo. La seconda persona che mi diceva così. Una mamma ha rivisto la violenza in famiglia dicendomelo con un filo di voce, un’altra ha focalizzato in alcune immagini ciò che è capitato a sua sorella, figlia, amica. Lo sapevamo che erano tante le donne che vivono la molestia, anche quella sottile, quella che non si riesce a delineare facilmente, da parte del compagno di vita. Quel dire “io ti porto …” o “il tuo lavoro fa acqua da tutte le parti” , oppure “hai fatto tardi stasera”, insinuando ogni tipo di dubbio, obbligando orari e restrizioni, è annientare la persona, limitare la libertà stampata a caratteri cubitali nella Costituzione, è condannare alla libertà vigilata le donne, come se la libertà fosse una concessione dell’uomo, e questo fa rabbrividire se se ne prende coscienza.
Tante le donne allo spettacolo, tanti visitatori alla mostra fotografica di ritratti femminili di Lucilla Sergio. La stessa fotografa ci dice “siete state intense nella recitazione”. E allora regaliamo alcuni passi della piece al lettore. E un abbraccio alle donne.
“Siamo voci che parlano alle donne e agli uomini.
Siamo voci che raccontano la storia di una donna. Siamo voci di quella donna e di tante donne. Perché quella donna voleva avere tante voci per raccontare la sua storia. Saremo il vostro coro greco , la vostra coscienza che bussa e vi parla , ci parla, ci parla, vi parla. Voi, voi lì seduti comodamente, ascoltate le nostre voci e non avremo parlato invano, non avremo parlato invano. Saremo la vostra voce che domani darà voce ad altre donne perché questa storia non deve morire, non deve morire, non deve morire”.