di Eleonora Arnesano
Mentre il solo per una sera apprendista critico cinematografico si appresta ad accomodarsi su poltrona decentrata nell’ultima fila della grande multisala cittadina per assistere alla proiezione di “Quo Vado”, ultima e pluri osannata opera del duo meraviglia Zalone-Nunziante, viene raggiunto dalla notizia del conseguimento del nuovo record di incassi e pubblico pari a oltre 52 Milioni di EURO , e 7.400.000 spettatori. Si parte, il film inizia con Checco in una foresta africana a bordo di un’auto (con annesso autista a noleggio) subito in panne e circondata da guerrieri dalle “intenzioni” per nulla pacifiche, portato al cospetto del capo tribù che gli chiede conto della sua presenza nel territorio inizia a narrare la sua storia assistito alla traduzione dall’autista. Il flashback si sviluppa in una serie di episodi e situazioni divertenti nel corso dei quali si apprende che il nostro è dipendente della ex amministrazione provinciale barese, divenuta “metropolitana”, (per cui “non è cambiato un c…”), ingessato nella strenua difensa del “posto fisso” nel cui mito è cresciuto, costretto per evitare il licenziamento o dimissioni forzate, ad accettare la mobilità lavorativa in Italia come all’estero. Il peregrinare per ogni dove lo vede approdare in Norvegia, lì dove “fa più freddo di Roccaraso”, come racconta alla mamma in occasione dell’ultimo trasferimento, ma non demorde, riesce ad ambientarsi anche in quel luogo impervio e con lavori impossibili da svolgere pur di conservare il posto, e lì, infatti, che incontra il vero amore, una ricercatrice (interpretata dalla bella Eleonora Giovanardi) che studia animali in via di estinzione, riuscendo a mitigare i suoi comportamenti deteriori e menefreghisti frutto dei retaggi culturali tipici delle nostre latitudini. Continua ad essere tampinato dalla funzionaria ministeriale “tagliatrice di teste” nevrotica e depressa,(interpretata da una bravissima Sonia Bergamasco), il cui imperativo è dimissionare a botte di incentivi economici il personale in esubero. Trovate geniali, gag con due grandi attori: Lino Banfi nella parte dell’Onorevole Binetto (che fa tanto di anagramma di Bettino, in ossequio all’ Italia da bere che fu..), Santo in paradiso della famiglia dispensatore di posti fissi, e Maurizio Micheli, ispiratore paterno del mito del posto sacro ed intangibile completano la caratterizzazione tipicamente pugliese del soggetto. Miracolo finale, il capo tribù salva Checco che per amore della bella e con un figlio nato nel frattempo, firma le dimissioni estorcendo alla funzionaria una cifra superiore all’esodo propostogli che destina all’acquisto di medicinali per la tribù africana e finendo per fare l’assistente al suo amore nel ruolo di “stimolatore” delle secrezioni germinali di creature in pericolo di estinzione. Sigla Finale, “La prima Repubblica non si scorda mai..” Testo graffiante in stile Molleggiato Celentano su prebende, liberalità, doni, e illegalità fatti alla pletora di lavoratori e invalidi, destinatari delle briciole del desco sul quale si è accomodata e sempre si accomoderà la classe dirigente pro tempore del Bel Paese… Senza pretese né preconcetti pseudo intellettualoidi possiamo dire che il film è da “ridere”, ma fa ridere amaramente, una favola dei buoni sentimenti che fa cassa aprendo squarci di verità sulle attuali condizioni economiche e lavorative vellicando il desiderio di evasione degli italiani col lubrificante della risata. La vaselina che serve ad una generazione precaria consapevole che non potrà né rivivere né permettersi i bagordi dell’ultimo quarantennio. O meglio solo una piccola parte potrà usufruirne, quella che è sempre prossima al famoso desco….dopo non “ci resta che piangere”…..