” Il novellar vien del suo bel tempo”….
Carmelo Colelli ci narra la vigilia della festa dell’Immacolata del suo Paese (Mesagne) nei ricordi di quando era bimbo, sollevando, a nostra volta, le paratie della memoria per farci sorprendere dalla dolce nostalgia che comunque nutriamo la necessità di coltivare.
“Anche quest’anno è arrivato Natale!”
Questo diceva la mattina della vigilia dell’Immacolata, la “nunna Mmiluccia”, la signora Carmela mentre cominciava a trafficare in cucina e il marito, “lu nunnu Ntunuccio”, il signor Antonio accendeva il fuoco sotto al caminetto e lei, avvolta ancora nello scialle di lana, per ripararsi dal freddo, prese la madia, la sistemò sul tavolo della cucina, quello che usavano per mangiare ogni giorno, da uno stipetto prese la farina, il lievito, quello madre, fatto in casa, l’olio, le olive nere e sistemò tutto sul tavolo attorno alla madia. Prese anche un piccolo contenitore in terracotta “lu pugnatieddu”, lo riempì d’acqua e lo sistemò vicino al fuoco, l’acqua doveva diventare tiepida.
Rivolgendosi al marito disse: “Ntunu! oggi è la vigilia dell’Immacolata, mi raccomando non si mangia fino a questa sera, oggi si fa il digiuno in onore della Madonna.”
Lu nunnu Ntunucciu le rispose: “va bene! va bene! lo so che oggi si fa il digiuno ed io, come ogni anno, lo faccio il digiuno, tu però prepara cose buone per questa sera!”
La “nunna Mmiluccia”, senza lasciare ciò che stava facendo gli rispose: “non ti preoccupare, a casa nostra, anche se è povera, le cose buone non mancano mai” ed aggiunse: “verso mezzogiorno vieni, così prendi “li pucci cauti cauti” le pucce calde-calde e le porti in campagna ai nostri figli e a tutti quelli che lavorano con loro.
L’acqua ormai si era intiepidita, la “nunna Mmiluccia”, prese “lu pignatieddu” da sotto al camino, prese la farina, fece un monticello, con le mani aprì la farina fino a formare un piccolo cratere. In questo cratere versò un po’ d’acqua ed il lievito, cominciò ad impastare, la lavorò tanto con le sue mani, aggiunse un po’ d’olio, un pizzico di sale e continuò ad impastare ancora per un po’, quando vide che l’impasto era tutto uniforme e morbido, aggiunse le olive nere, quelle dolci con il nocciolo.
La “nunna Mmiluccia” mentre impastava, sembrava un sacerdote sull’altare, sembrava che stesse pregando la Madonna Immacolata.
Quando finì di impastare, divise la massa in tanti pezzi, uguali e, dando con le mani una forma arrotondata, li sistemò sopra una tovaglia pulita, li coprì e li lasciò lievitare sotto una coperta di lana.
Dopo un po’ di ore passò il fornaio, prese “lu tauliere”, una tavola di legno adatta per il trasporto del pane, con sopra le pucce e le portò al forno.
Il fornaio, verso mezzogiorno, riportò a casa della “nunna Mmiluccia”, le pucce ancora calde.
In paese, vi era l’usanza di mangiare la puccia calda a mezzogiorno, i ragazzini non aspettavano altro quel giorno.
La “nunna Mmiluccia” prese le pucce ancora calde, le sistemò in un grande tovagliolo, quelli di cotone a quadri blu o rossi, sistemò il fagotto in un piccolo paniere, con un bottiglione di vino, quello casereccio, “lu nunnu Ntunucciu” prese il paniere, inforcò la bicicletta e, presto presto, arrivò in campagna, dove c’erano i figli con gli altri lavoranti.
Lei, appena il marito amdò via, cambiò l’acqua al baccalà, lo aveva messo a bagno la sera precedente, doveva perdere la salatura, fatto questo, si mise a pulire le cime di rapa, i cavolfiori, le cicorie e le cicorielle campestri. Quando finì di pulire la verdura, preparò il sugo col baccalà, il baccalà con le patate al forno, ne lascio alcuni pezzetti, li avrebbe fritti più tardi, preparò le rape stufate con il peperoncino e lessò le cicorie.
Dopo che ebbe sistemato queste cose, prese un contenitore in terracotta, mise dentro la farina, aggiunse l’acqua ed il lievito, con le mani la giro tante volte fino a quando fu completamente sciolta, aveva ottenuto un impasto molto molle, copri la coppa con una coperta e lasciò crescere la pastella, più tardi avrebbe fatto le pettole.
Mentre trafficava in cucina, il tempo passava, nel frattempo i figli erano tornati dalla campagna, anche “lu nunnu Ntunucciu”, era rientrato, poco per volta anche gli altri figli con le mogli e i propri figli arrivavano: tutti presenti per la cena.
Sotto il caminetto, il fuoco crepitava, tre grossi ceppi di legna di olivo, bruciavano piano piano, c’era anche il treppiede con sopra la padella, quella nera per la frittura, piena di olio fumante, vicino al caminetto “la nunna Mmiluccia”, con accanto la coppa con la pastella, ormai ben lievitata e un grande piatto in terracotta, pieno di baccalà, olive, alici salate, pezzetti di cavolfiore lesso, capperi, tranci di tonno, ingredienti per farcire le pettole.
La nunna Mmiluccia, iniziò a friggere, appena le prime pettole furono pronte, le mise in un piatto e disse: “Beh! Assaggiatele adesso che sono calde, fate attenzione a non scottarvi!” raccomandò ai nipotini, passò il piatto alla figlia e continuò a friggere.
Le pettole erano una diversa dall’altra, avevano tutte forme strane, una più grossa, una più piccina, queste forme si generavano dal cadere della pastella nell’olio bollente, per la fantasia dei bambini, somigliavano a tanti animali strani. La nunna Mmiluccia, prendeva la pastella in una mano che chiudeva a pugno e la lasciava uscire dal disotto, con il dito indice dell’altra mano, la staccava facendola cadere nell’olio bollente.
Lu nunnu Ntunucciu appena ebbe assaggiata la prima pettola disse: “Ti la Mmaculata la prima pittulata”, “Alla vigilia dell’Immacolata la prima pettolata” e bevve il primo bicchiere di vino.
La moglie continuava a friggere pettole, con pezzi di baccalà, cavolfiore, olive ed altro, frisse anche una bella porzione di pettole vuote, le fece più piccole e più tondeggianti, le mise in disparte le avrebbe coperte dopo con lo zucchero ed il vincotto, i bambini ne erano golosi ed anche ai grandi piacevano molto: era il primo dolce natalizio.
Quando ebbe finito, tolse la padella con l’olio fritto, pulì sotto al caminetto mentre il fuoco continuava a crepitare.
Appena vide che la pasta si era cotta, invitò tutti a sedersi a tavola, tutti presero posto ed iniziarono a cenare.
Per primo mangiarono la pasta condita col sugo del baccalà, il baccalà con le patate al forno, le rape stufate, i cavolfiori, le cicorie e le cicorielle campestri, alla fine baccalà fritto e pettole.
Poi fu la volta della verdura cruda e frutta di stagione: finocchi, arance, mandarini, grappoli di uva invernale, questa proveniva di solito dalla pergola del cortile della casa, frutta secca, mandorle, noci e fichi secchi con la mandorla dentro.
Per finire mangiarono le pettole con il vincotto e con lo zucchero.
Le pucce, le pettole, il baccalà fritto ed il vino nuovo, quello di malvasia, erano i re e le regine della vigilia dell’Immacolata.
Quando tutti andarono via rimasero soli lu nunnu Ntunucciu e nunna Mmiluccia, seduti vicino al focolare, con il fuoco che si consumava piano piano, lu nunnu Ntunucciu disse: “Hai visto che bella vigilia abbiamo passato!”, la moglie gli rispose: “Dobbiamo ringraziare la Madonna che si venera domani” e continuò dicendo: “Ora è veramente arrivato Natale!”.
Carmelo Colelli