La Cia Confederazione Italiana Agricoltori di Taranto e l’AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali promossa dalla CIA) evidenziano che i campi illuminano il Paese: nel 2020 il 19% dell’energia elettrica e il 60% delle fonti di calore arriverà dalle biomasse. Lo sfruttamento delle biomasse locali potranno sostituire il petrolio nelle case.
Lo sviluppo delle bioenergie può essere la vera alternativa energetica per la nostra provincia. Secondo uno studio dell’Enea da qui al 2020 le bioenergie forniranno il 19% dell’energia elettrica e il 60,7% delle fonti di calore del nostro paese. Già adesso dalle bioenergie si ricava circa il 13% dell’energia elettrica e il 40% delle fonti di calore. È uno sviluppo continuo che, se prima aveva come limite quello di veder convertite coltivazioni dal “food” al “non food” ritenendosi più remunerativo produrre biomasse, oggi, grazie alla ricerca di fatto, si alimenta la bioenergia con la produzione di “materie prime seconde”, cioè con gli scarti della lavorazioni agricole e agroalimentari. E questo, in una prospettiva di sviluppo ecocompatibile e sostenibile e una spinta alla cosiddetta “economia circolare”.
A dare il segno dello sviluppo del settore sono proprio gli ultimi dati, che aprono nuove prospettive. Nell’ultimo anno in Italia il bosco ha di fatto battuto il petrolio. Tenendo conto di tutti i consumi di combustibili e carburanti per riscaldamento e trasporti si scopre infatti che abbiamo consumato poco più di 8 milioni di tonnellate di benzina (integrata anche con carburante verde), un po’ meno di 22 milioni e mezzo di tonnellate di gasolio (compreso biodiesel), meno di un milione e mezzo di tonnellate di gasolio da riscaldamento, 3,3 milioni di tonnellate di gpl e oltre 24 milioni di tonnellate di biomasse legnose. E ciò che più conta è che questa fonte di energia è la più risparmiosa per le famiglie. Facendo un po’ di conti viene fuori che il costo finale (tasse e Iva incluse) per l’utente, a parità di calore ricavato, è nove volte inferiore rispetto al gpl se si usa cippato di olivo: 35 euro contro 253 del gpl.
E ancora, se si fa il confronto tra la legna da ardere e il gasolio da riscaldamento siamo a 45 euro contro 136 e anche nel confronto tra pellet in sacchi e il metano (62 euro contro 82) vince comunque il biocombustibile delle nostre campagne.
Ciò che è incoraggiante è che Taranto e provincia dispone di un’ampia riserva di biomasse come le potature di olivo e vite, ma anche gli agrumi, gli scarti di lavorazione dei frantoi e di eventuali scarti dell’estrazione di succhi di arancio, ecc., dalle quali produrre energie. Basta considerare che negli ultimi anni molte serre ed agriturismi hanno convertito i loro impianti a gasolio o btz (olio combustibile) in impianti a biomasse ricevendo anche cospicui incentivi dai certificati bianchi e dai psr. E ciò è principalmente dovuto alla ricollocazione delle potature le quali anni fa venivano bruciate in campo, oggi diventano economia locale generando produzione interna e posti di lavoro nonché risparmio per le famiglie e miglioramento della qualità dell’aria con l’utilizzo di nuovi impianti termici. Il che significa che la dicotomia food-non food nel tarantino e in tutto il sud si può risolvere semplicemente sfruttando per la produzione di bioenergie tutti i sottoprodotti agricoli, come anche le terre incolte e marginali. Piccoli impianti installati sul territorio potrebbero consentire alle aziende agricole di superare la crisi.
Purtroppo vi sono problemi e criticità per lo sviluppo e gli investimenti nel tarantino. Infatti il problema principale è il costo degli impianti che molto spesso superano i fatturati aziendali e quindi trovano ostacoli dal sistema finanziario poco attento allo sviluppo e la crescita del territorio. Le banche locali, ma anche i grandi gruppi, fanno problemi ad investire in agricoltura, in quanto migliaia di aziende agricole si trovano in condizioni di scarsa liquidità e con qualche rata arretrata che genera sul sistema finanziario un blocco per i finanziamenti e per gli investimenti aziendali. Il Psr Puglia 2014-2020, prevede forme di investimento su impianti a biomassa in tal senso ma vi sono forti dubbi sulla possibilità di spesa perché nessuno ha più soldi per investire. I Psr dal 2000 al 2013 hanno fortemente indebitato le aziende, in quanto a fronte di un allettante contributo a fondo perduto del 40-50%, le aziende hanno investito in macchinari, attrezzature, frantoi ecc, ecc.., sono state costituite cooperative, convertito gli impianti per il miglioramento della qualità di contro hanno visto pagarsi l’olio extravergine 2,8-3,00 euro kg all’ingrosso.
Vedere crollare i prezzi dei prodotti di qualità come olio, agrumi, vite, ecc. ai minimi storici ha solo generato debiti.
Oggi occorre liquidità, investimenti pubblici e una normativa mirata alla salvaguardia dei patrimoni agricoli aziendali, mutui a garanzia pubblica a 30-40 anni a tasso zero per rientrare dai debiti generati negli ultimi 5-10 anni. Il sistema bancario italiano ha i conti pieni di liquidità che non riesce ad impiegare a causa delle imprese che sono in difficoltà.
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