Di Redazione
La vicenda riguardante la nuova sede del Provveditorato alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata che sta sorgendo proprio nell’area del Porto di Bari proprio di fronte al Castello normanno svevo, ormai ampiamente nota all’opinione pubblica per la battaglia condotta dal Comitato parco castello e da 37 associazioni culturali e ambientaliste della città che si oppongono alla nuova costruzione, si è sviluppata fino a questo momento intorno al mancato rispetto del vincolo apposto nel maggio del 1930 dall’allora Soprintendente Schettini che intendeva, secondo la concezione del tempo, salvaguardare la visibilità del prezioso bene culturale La Soprintendenza nella lettera sollecitata dal Comune, oggi contrario alla costruzione dell’edificio, ha confermato, ora per allora, il parere favorevole già espresso a seguito della Conferenza dei servizi, tenutasi nel 2010, cui la Soprintendenza non aveva partecipato, affermando testualmente: “le opere in oggetto <sono> compatibili con gli obiettivi di tutela previsti dal decreto di vincolo… a condizione che la siepe…sia realizzata con piante di pitosforo…”. A motivare il parere favorevole alla costruzione le continue violazioni del vincolo durante gli 85 anni trascorsi dall’apposizione del vincolo stesso; violazioni che hanno comportato il sorgere di numerose costruzioni che oggi impediscono la visione del Castello da terra, mentre la piantumazione di un giardino di alberi alti ne impedisce la visibilità dal mare: queste le considerazioni della Soprintendenza..
Il comitato è ora in attesa della decisione del Tar cui il legale ha richiesto di avere copia dell’ autorizzazione per la costruzione del primo edificio del Provveditorato, rilasciata dall’allora competente Ministero dell’educazione, autorizzazione che pare scomparsa, la cui mancanza dimostrerebbe l’illegittimità di entrambe le costruzioni.
Dal canto nostro, pur sostenendo attivamente le generose ed encomiabili argomentazioni portate avanti finora dal Comitato, per contribuire alla spiegazione di un altro guazzabuglio di cui la classe dirigente del Bel Paese è capace, desideriamo affrontare la questione da un’altra ottica soffermandoci su aspetti che, a nostro avviso, non sono stati ancora sufficientemente presi in considerazione.
Dal 1930 ad oggi si è profondamente evoluto il concetto di paesaggio e quello della sua tutela; ci si è resi conto, infatti, che la restrizione del concetto di tutela ai beni vincolati aveva nel passato favorito comportamenti “deresponsabilizzanti”, basati sulla convinzione che, al di fuori dei beni vincolati, tutto fosse “paesaggisticamente” permesso. Si è andato quindi affermando un concetto sempre più ampio di tutela e si è lentamente diffusa la consapevolezza di cui è permeata la normativa europea (Convenzione europea del paesaggio) che degno di tutela fosse tutto il territorio e non esclusivamente le emergenze paesaggistiche e quindi anche il territorio degradato per il quale “tutela” ha assunto il significato di promozione di azioni che favoriscano il ripristino degli originari valori ambientali degradati a causa dell’azione umana. In quest’ottica il Testo unico dei beni culturali prima e il Codice poi, recependo le normative europee, hanno nel corso degli ultimi decenni completamente rivoluzionato il concetto di bene paesaggistico tanto da superare una concezione elitaria del bene considerato come un unicum raro e prezioso fino a ricomprendere nel concetto di bene tutelato tutti gli aspetti del paesaggio. L’articolo 131 del Codice infatti recita: “Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”
Non si intende più il paesaggio come semplice contesto di rilevanza giuridica del bene oggetto delle misure di tutela; bensì paesaggio come parti di territorio il cui valore espressivo deriva da fattori naturali o umani e dalle loro interrelazioni così come è percepito dalla popolazione. Nel nuovo concetto di paesaggio è proprio questa percezione umana che acquisisce importanza fondamentale ; il paesaggio è qualcosa di cui prendersi pubblica cura con riferimento all’intero territorio nazionale e con il coinvolgimento delle popolazioni, nel rispetto degli interessi pubblici. Una cura che, in funzione delle diverse realtà , si sostanzia in misure sempre differenziate e tra loro diversamente combinate (salvaguardia, gestione, riassetto, recupero nel caso di paesaggi degradati). Torniamo ora alla questione che stiamo affrontando ed esaminiamo le conseguenze giuridiche dello sviluppo della legislazione su di essa. La lettera della Soprintendenza nella parte dispositiva così recitava: “Tanto premesso, si rende ora per allora il seguente parere ai sensi dell’art.2 del citato decreto di vincolo del 15 maggio 1930 ed ai sensi esclusivamente della Parte II del Codice, D Lgs n 42/04, non essendo il sito interessato da vincoli di natura paesaggistica di competenza di questa Amministrazione ai sensi della parte III (del Codice)”.
Alla luce di quanto detto proprio in quest’ultima affermazione, trattata come un semplice inciso, confermata per altro da una lettera del Ministero, è contenuto il nucleo più importante della questione
Se si dimostrasse , infatti,(cosa che Soprintendenza e Ministero tendono negare a tutti i costi) che l’immobile rientra in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, pertanto regolamentate dalla parte III del codice, l’autorizzazione sarebbe nulla ab origine in quanto priva della relazione paesaggistica e sarebbe definitivamente sancito l’abusivismo compiuto dalla nuova costruzione . Nel sito della “Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Firenze, Pistoia e Prato , ad esempio, così si spiega: “la Relazione paesaggistica costituisce per l’Amministrazione competente la “base di riferimento essenziale” per le valutazioni previste dall’art. 146 comma 5 del predetto Codice. Pertanto la mancanza, fra gli elaborati che accompagnano l’autorizzazione paesaggistica, della Relazione Paesaggistica è sicuramente motivo di annullamento della suddetta autorizzazione.
L’autorità che rilascia l’autorizzazione deve espressamente dichiarare nella “Determina di Autorizzazione” di aver rilasciato l’autorizzazione stessa sulla base delle risultanze della Relazione.
Infatti proprio in considerazione della Legge Galasso, poi ripresa dal Testo unico e dal Codice, è possibile affermare che l’immobile del Provveditorato alle opere pubbliche rientra pienamente nei casi disciplinati dalla terza parte del Codice dei beni culturali per i quali è prevista l’obbligatorietà dell’autorizzazione paesaggistica, anche nelle more dell’approvazione dei piani paesaggistici e dei diversi strumenti urbanistici, e questo per i seguenti motivi:
– la palazzina si trova a meno di trecento metri dal mare quindi in una delle fasce territoriali tutelate ope legis già dalla promulgazione della legge Galasso.
L’articolo 142 del Codice, poi, così recita: “Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare”
– la palazzina è sita lungo il perimetro che unisce il centro storico di Bari, di cui fa parte integrante, al mare. Nonostante qualche anno fa sia stata bocciata in consiglio comunale “la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area centrale della città di Bari” formulata dagli esperti ai sensi degli artt.136-138 del Codice, per la quale sarebbero stati sottoposti a vincolo la Città vecchia e i tre quartieri novecenteschi della città (Murat, Libertà, Madonnella) nessun giudice potrà mai negare che l’area della citta vecchia rientri nel disposto dell’art. 136 che recita: “Sono soggetti alle disposizioni di questo titolo per il loro notevole interesse pubblico:…..
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico”.
La legislazione dispone l’adeguamento degli strumenti urbanistici (PRG) agli strumenti dei piani paesistici (PTP) e la cooperazione tra le Pubbliche Amministrazioni, prevedendo il potere sostitutivo del Ministero per l’azione pianificatoria in caso di inerzia da parte della regione. In altre parole l’articolo 136 del Codice sia deve considerare operativo anche in assenza delle norme attuative. Resta comunque l’inerzia della Soprintendenza che, in mancanza dell’approvazione del piano paesaggistico, non ha rinnovato il vincolo di tutta l’area intorno al Castello che avrebbe impedito il sorgere di qualsiasi altra costruzione e avrebbe permesso l’avvio della riqualificazione di un’area fortemente degradata per il cui recupero la stessa Soprintendenza aveva già lavorato nel passato.
– la palazzina è sita nell’area del porto di Bari e per le aree portuali è necessario ottenere l’autorizzazione paesaggistica come dimostra la pratica consultabile nel sito: www. porto. salerno.it allegato in cui l’autorità portuale di Salerno ha richiesto l’autorizzazione paesaggistica , o la pratica del porto di Taranto (Città di Taranto – Collegamento ferroviario del complesso del porto di Taranto con la Rete nazionale – lotto 2 – Piastra Logistica. Richiesta di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 D.Lgs 42/2004 e s.m.i. Richiedente: ITALFERR S.p.A.) consultabile nel sito www.regione. puglia.it. Resta soltanto da specificare che nel caso di irregolarità nella realizzazione dell’intervento, anche se autorizzato da parte delle amministrazione locali e confermato dalla Soprintendenza , in aree sottoposte a tutela paesaggistica il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” non prevede il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria; infatti dal punto di vista giuridico è stato definitivamente stabilito che non è possibile rilasciare autorizzazioni paesaggistiche ex post.
© Giornale Armonia Registrato al Tribunale di Taranto numero 638 del 23/11/2004
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