«Lasciate che vi chiami cittadini anche se tutti sappiamo che siete sudditi, ma io vi chiamerò cittadini per risparmiarvi un’inutile umiliazione». Domenica 3 maggio 2015, alle ore 21 al TaTÀ di Taranto, in via Deledda ai Tamburi, va in scena “Discorsi alla nazione”, scritto, diretto e interpretato da Ascanio Celestini, produzione Fabbrica, nell’ambito della rassegna “… sono Stato io?”, un progetto del Crest, in collaborazione con “Pubblico” e Cgil Taranto. Durata 100’. Biglietto intero 13 euro, ridotto 10 euro. Info: 099.4725780 – 366.3473430.
Attore, autore teatrale e cantautore, scrittore e anche regista di cinema, ma soprattutto narratore o, se si preferisce, affabulatore. Ascanio Celestini da anni occupa un posto a parte nel panorama teatrale italiano perché supera la soglia del monologo come gesto e attitudine drammatica, per farsi esso stesso riflesso mitico della parola e condizione permanente dello stare in scena. Un teatro, il suo, da sempre partecipato e partecipante, il mondo di fuori e il mondo di dentro, l’eternità e la quotidianità, entrambe riserve di caccia per la sua ineffabile esuberanza narrativa, che da cronachista diventa surreale e da magica diventa concreta.
Al palmares di teatrante civile e militante, Celestini aggiunge un nuovo tassello, esplosivo e riflessivo nella ricerca sui guasti e i malanni della società contemporanea, avvilita dal conformismo e guastata da un potere sempre più aberrante e dispotico. Una società che si trincera dietro la petulante democrazia per inanellare un sopruso dopo l’altro. “I discorsi alla nazione” di Celestini nascono da questa dissonanza. Basta dirsi democratici per farsi assolvere dalla storia? Il tiranno se ne sta chiuso nel palazzo. Non ha nessun bisogno di parlare alla massa. Ma ogni tanto deve mostrarsi. Deve farsi acclamare soprattutto nei momenti di crisi quando rischia di essere spodestato.
«Ho immaginato alcuni aspiranti tiranni che provano ad affascinare il popolo per strappargli il consenso e la legittimazione. Appaiono al balcone e parlano senza nascondere nulla. Parlano come parlerebbero i nostri tiranni democratici se non avessero bisogno di nascondere il dispotismo sotto il costume di scena dello stato democratico», annota Celestini, che è solo in scena con una scarna scenografia che mette ancor più in evidenza le sue parole, le sue affabulazioni che hanno il pregio di far riflettere, sorridendo.
Nato a Roma nel 1972, Ascanio Celestini è considerato uno dei rappresentanti più importanti del nuovo teatro di narrazione. I suoi spettacoli, preceduti da un approfondito lavoro di ricerca, hanno la forma di storie narrate in cui l’attore-autore assume il ruolo di filtro con il suo racconto, fra gli spettatori e i protagonisti della messa in scena. Si ricordano: “Cicoria. In fondo al mondo, Pasolini (1998); la trilogia “Baccalà, il racconto dell’acqua”, “Vita, morte e miracoli” e “Milleuno, la fine del mondo” (1998-2000); “Radio clandestina” (2000); “Fabbrica” (2002); “Scemo di guerra. Roma, 4 giugno 1944” (2004); “La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico” (2005); “Live. Appunti per un film sulla lotta di classe” (2006); “Il razzismo è una brutta storia” (2009); “Pro patria” (2012); “Discorsi alla nazione” (2013).
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