di Ester Lucchese
Si chiama Alice Munro la scrittrice canadese ottantenne che quest’anno ha vinto il Nobel per la letteratura. Già vincitrice di importanti riconoscimenti letterari, nel corso della sua lunga carriera, ha visto la propria fama di scrittrice diffondersi grazie anche a note riviste letterarie. Straordinaria “maestra del racconto breve contemporaneo”, così come più volte è stata definita, in tutte le sue storie si è certi di vivere empaticamente le tangibili esperienze della sua vita, percependo, inoltre, le emozioni più recondite del suo umano sentire, per voce dei personaggi realistici.
La Munro può ben definirsi lo specchio riflettente della sua lucida memoria registrante.
La scrittrice ha sempre dichiarato che la scrittura è un espediente per mostrare come sono complicate e sorprendenti le cose e come sia importante trasferire nei lettori il meraviglioso sbalordimento di fronte a questo espediente che esprime emozioni concretamente vissute.
La sensibilità di quest’animo muliebre è in grado di cogliere gli aspetti più subdoli che a volte sfuggono e che con essa divengono momenti narrativi universali. In Troppa felicità rimangono impresse le immagini descrittive dei personaggi e della loro voce. Riporto testualmente una parte del noto racconto per l’immediatezza espressiva di un gesto che quasi involontariamente compiamo: “C’è stato un momento in cui ha creduto che non ce l’avrebbe fatta a tirare avanti senza caffé, ma poi ha scoperto che quello di cui non si può fare a meno è stringere in mano il tazzone caldo, che è quella sensazione a favorirne i pensieri e qualunque altra pratica svolga nel corso delle ore, o della giornata”. Nei numerosi racconti di Alice Munro, pubblicati da rinomate case editrici italiane, qualcuno ha detto “si resta attaccati ad essi in quanto diventano immagini e stati d’animo, rappresentazioni di felicità o di disperazione”.
Metti “Mi Piace” sulla pagina del Giornale Armonia >>> |
Segnala questo articolo su Facebook Twitter e Google