di Francesca Tomei
Di fronte alla notizia della morte di un bambino si rimane muti, paralizzati. Si fatica ad accettare e compendere. La cronaca riporta la morte di un bambino di 17 mesi, ucciso dai cani dei nonni. In una giornata qualunque la quotidianità di una famiglia è stata segnata in modo tragico, indelebile.
Ora rimane la disperazione del padre che maledirà il suo essersi addormentato, il senso di colpa per non aver vegliato sul figlio, per non aver chiuso la porta in modo inaccessibile al bimbo.
Sembra inaccettabile che un essere umano possa essere aggredito ed ucciso da un cane, definito il migliore amico dell’uomo. Eppure accade. Sembrerò fredda ed insensibile (ma vi assicuro che non lo sono!), ma dietro questi eventi ci sono sempre delle motivazioni.
Il mio intento non è quello di difendere il cane o definire i ruoli del buono e del cattivo, ma quello di ricordare che la medaglia ha sempre due facce: ogni evento presenta sempre due punti di vista diversi, e deve essere letto con gli occhi di chi lo produce. E’ un pò un calarsi nei panni dell’altro interlocutore per comprendere cosa lo abbia portato ad agire in un certo modo.
Il cane e l’uomo, pur dividendo gli stessi spazi ed influenzandosi reciprocamente in questa millenaria convivenza, sono e saranno sempre due specie differenti. Con diverse modalità di approccio, di comunicazione e di interpretazione degli eventi.
Quello che può spingere un cane ad aggredire non è comprensibile attraverso la formula uomo + cane = amici.
La cronaca del tragico fatto non fornisce elementi utili per una accurata valutazione della situazione – che tra l’altro non potrebbe essere effettuata senza conoscere dettagliatamente la storia e le abitudini dei cani e dei familiari in oggetto. E soprattutto il mio non vuole essere un giudizio sull’evento, ma uno spunto di riflessione.
Parto dai due elementi conosciuti, il fatto che i due cani siano stati avvicinati da un soggetto forse non familiare nel loro territorio e l’età del bambino.
La familiarità tra esseri viventi si acquisisce con la convivenza e la quotidianità. Il cane in base alle proprie attitudini ed al proprio livello di socializzazione, può percepire un altro soggetto (conspecifico e non) come un intruso e per questo tenderà a difendere il proprio territorio, talvolta anche con gravi conseguenze.
Inoltre due cani che vivono insieme costituiscono un branco di conspecifici e si riferiranno più l’uno all’altro, rafforzando il loro legame, la propria collaboratività, uniformando i propri intenti, diminuendo o limitando, così, la loro apertura sociale verso soggetti di specie diverse, compreso l’uomo.
Il cane, poi, percepisce il bambino in vari modi, come una preda, un cucciolo, un fastidio e, raramente, a meno che non ci sia stata una corretta familiarizzazione, come un amico.
Un bambino è impacciato nei movimenti, urla, tende le mani in avanti nel tentativo di toccare, può essere insistente con lo sguardo e con la richiesta di interazione, invadente, emana un odore accattivante ed interessante ed inoltre la sua testa è ad altezza muso del cane.
E di fronte a questa insistenza (che è nella natura del bambino) il cane può reagire secondo la propria natura, utilizzando l’arma di cui è dotato, la bocca, con cui in natura blocca, uccide e dilania.
Le modalità comunicative tra le due specie sono diverse, a volte agli antipodi e creano malintesi che possono sfociare, purtroppo, in drammatici incidenti.
Le cause che scatenano nel cane reazioni inopportune (dal punto di vista umano) sono molteplici, ma sono sempre sostenute da motivazioni che costituiscono la sua personalità.
Si cade spesso nell’errore di considerare il cane accondiscendente nei nostri confronti, invece deve essere considerato un soggetto attivo, in grado di decidere quale comportameno mettere in atto in un determinato momento, perché lo ritiene il più adatto a quello specifico contesto.
Gli studi confermano che il comportamento non è un istinto, ma il frutto di una elaborazione mentale, in risposta agli stimoli ricevuti in quel particolare momento.
E’ veramente molto pericoloso lasciare i bambini soli con i cani, anche se c’è stata familiarizzazione ed anche se si tratta di una razza piccola. Non esistono cani baby sitter, esistono solo cani più tolleranti, ma noi non possiamo essere certi dello stato emotivo e della predisposizione del cane in un dato momento.
Certo le mie riflessioni non sono di conforto alle famiglie che hanno subito un attacco, e le mie parole non riporteranno indietro il tempo, ma poiché non possiamo cambiare la natura del cane, le uniche soluzioni sono la prevenzione e la conoscenza della specie con cui si convive, per evitare tutte le situazioni di eventuale rischio.
Il cane, come ogni specie animale, da sempre esercita un fascino nell’uomo, perché rappresenta l’intermediario con la nostra memoria atavica e con la diversità. Ed il bambino che ha la fortuna di crescere con un animale sarà arricchito dall’incontro – confronto con un intermediario che saprà stimolare le sfere emotive e cognitive. Questo incontro è per noi una grande e speciale opportunità, che dobbiamo continuare a coltivare, abbattendo le barriere ed i limiti che ci precludono la profonda conoscenza e partecipazione alla realtà naturale.
Francesca Tomei – Istruttore Cinofilo Presidente della ASD Divertirsi a 6 Zampe
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