di Gianbattista Tagliani
L’elezione di Giorgio Napolitano per un secondo mandato al Quirinale segna la fine di Beppe Grillo come leader credibile e riconosciuto del Movimento 5 Stelle.
Dal giorno delle politiche, in cui ha registrato un risultato cospicuo, per quanto favorito da un massiccio astensionismo, la leadership del movimento s’è progressivamente auto esclusa.
Il tutto nasce da un errore iniziale, irrimediabile nel breve termine, poi ripetuto una volta (lungo il processo di autolesionismo di cui sopra) e ripetuto di nuovo in questi giorni di votazioni per il Quirinale.
Il web è una risorsa infinta di idee e soluzioni, oltre ad avere un potere aggregatore che ridicolizza i media tradizionali, ma non è un luogo per Guru proprio per la sua natura indipendente e universale. Il riferimento è chiaramente a Casaleggio, ispiratore degli strali Grilliani.
Il peccato originale è stata l’applicazione superficiale e sbrigativa del dirompente (in un contesto come quello italiano) concetto di democrazia partecipativa. Era ora che si svegliasse la coscienza collettiva, attraverso lo stimolo di quelle individuali, anche un po’ edonistiche che il mondo dei social network esalta efficacemente. Ma per chi del concetto di merito s’è fatto alfiere, atterrare l’asticella delle qualità individuali per garantire la massima “democrazia”, ha fatto si che i candidati vincenti delle Parlamentarie, siano stati scelti secondo un criterio analogo al televoto di Sanremo o del GF. Cosa tutt’altro che illecita o pregiudizialmente sbagliata, ma se poi in parlamento ci si ritrova gente che non solo è estranea al sistema, ma è estranea anche ai temi, ai modi, al vocabolario, alla cultura politica, non ci si lamenti. La capogruppo M5S alla Camera, Lombardi, oggi rispondendo al direttore del TG7 Mentana, che le chiedeva un parere sull’ipotesi Napolitano al Quirinale, ha risposto: “Sono solo la portavoce di portavoce. Non posso rispondere”.
Il peccato originale è stato poi ripetuto con il dibattito sul nuovo governo in cui la strategia politico comunicazionale del guru Casaleggio ha fatto registrare il record di sintesi, all time. Non uno slogan; due lettere. NO
No a tutto sempre e comunque perchè i rappresentanti in parlamento del movimento sono l’espressione del popolo sovrano (come se quei cittadini che non hanno votato il M5S fossero alieni o clandestini) che non negozia, indica, attendendosi una mansueta accettazione del dictat. Un’analisi storica del risultato della strategia Casaleggio è stato un successo mediatico digitale senz’altro gratificante ma sostanzialmente insignificante sia in termini di consenso diffuso che, e soprattutto, di consenso parlamentare.
Dopo i primi due errori, senz’altro ispirato dalla saggezza latina “repetita iuvant”, Grillo e Casaleggio hanno puntato decisi al tris. Così son nate le Quirinarie (mi inquieta il pensiero di quanti poppanti italiani potranno, d’ora in poi, esser chiamati Stefanario o Farncescaria, tanto per esser di moda). Il nome di Stefano Rodotà era quello che in inglese è detto easy shot, tanto che oggi Fabrizio Barca ha dichiarato che era incomprensibile che il PD non convergesse sull’ex Garante della Privacy. Eppure l’han bruciato.
La mia opinione è che per fare una vera rivoluzione non si può presecindere da un ideale, da rivoluzionari “professionisti” e da una vera leadership. Qual è l’ideale del M5S oltre alla promozione e diffusione dell’odio e del rancore? I rivoluzionari professionisti non si trovano su Youtube. Un leader guida il suo popolo, non lo spinge verso il fronte, dalle retrovie. Dopo questi frenetici giorni cosa è riuscito a conquistare, oltre che la testa imbalsamata di Bersani da appendere sul camino del camper? L’italia merita una leadership capace, concreta e talentuosa come il suo popolo.
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