Di Ester Lucchese
L’opera, Gita al faro, di Virginia Woolf fu composta nel1927. In essa passato e presente si intrecciano ed il tempo assume un diverso significato. L’oggetto quotidiano diventa occasione di pensieri, ricordi, come possiamo notare in alcune immagini descrittive del testo, dove appare persistente l’attenzione puntuale ai dettagli. Il racconto è riferito ad un’ esperienza familiare dei Ramsay che con due amici trascorrono una giornata estiva nella casa di villeggiatura nelle isole Ebridi. Dalle semplici frasi dei protagonisti può delinearsi il loro temperamento, il proprio modo di essere. “La finestra” costituisce la prima parte di quella infanzia vissuta nel ricordo che viene ravvivato dal gesto di aprire realmente quel varco in una stanza. Idealmente l’atto di aprire diviene la metafora per sollecitare la memoria retrospettiva a recuperare i ricordi dell’infanzia.« Sì, certo, se domani fa bel tempo-disse la signora Ramsay davanti alla finestra-. Però dovrai essere in piedi con l?allodola” aggiunse», rivolgendosi al figlio James, di sei anni, desideroso di fare quella gita. Con il brutale rifiuto:« Ma-disse suo padre fermandosi davanti alla finestra del salotto -non sarà bello!», il padre pone la sua distanza dal figlio. La semplicità della mente della signora Ramsay dava, invece, al suo giudizio una dirittura di filo di piombo, una precisione d’uccello nel fermare il volo, le conferiva naturalmente quel vivace intuito del vero che consola, allevia, sostiene.. Il maltempo impedirà ciò che si potrà vivere dieci anni dopo in un’analoga giornata, cioè una gita al Faro che appare “lontano,austero” ed incompleto inizialmente come il ritratto della signora Ramsay che Lily riuscirà soltanto alla fine a completare.. In fretta, come se qualcosa l’avesse richiamata là, si volse verso il cavalletto. Eccolo – il suo quadro. Sì, con tutti i verdi e gli azzurri, le linee verticali e diagonali, i tentativi di raggiungere qualcosa. Lo avrebbero appeso in soffitta, pensò; sarebbe stato distrutto. Ma che importanza aveva? si chiese tornando a prendere il pennello. Guardò i gradini: erano vuoti; guardò la tela; era una macchia confusa. Con improvvisa intensità, come se per un istante lo vedesse con chiarezza, tracciò una linea al centro. Era finito; era completo. Sì, pensò, posando il pennello con estrema fatica, ho avuto la mia visione.
Un’ episodio di poca importanza è per la Woolf il pretesto perchè i pensieri dei vari personaggi continuino a vagare. Durante lo svolgersi di un’azione la scrittrice utilizza l’espediente stilistico del “flusso di coscienza” che si manifesta attraverso le associazioni d’idee, di impressioni, di sensazioni e di sentimenti. L’estensione del tempo della riflessione, rispetto alla brevità dell’azione che l’ ha prodotta, fa prolungare l’immediatezza in un indefinito tempo della fantasia.