Di Ester Lucchese
Il romanzo ”Non lasciarmi”, traduzione italiana dell’albanese Mos më le, di Caterina Camarda, scrittrice esordiente di origini pugliesi, rappresenta una novità nel settore narrativo per la trama realistica e lo stile lineare, in cui alcuni elementi dell’onomastica e non solo, riferiti alla provenienza geografica dei personaggi, vedi Ilir, uno dei sequestratori, componenti della mafia albanese( gli Illiri erano gli antichi popoli che abitavano la penisola Balcanica), sono frutto della fantasia dell’autrice. I dialoghi mettono in risalto lo stadio di apprendimento dell’italiano da parte dei sequestratori albanesi e la propria estrazione sociale. I sintagmi degli enunciati di uno dei personaggi, Ardian per esempio, appaiono non connessi e caratterizzati da una sintassi elementare a differenza di quelli dell’architetto albanese. Il tutto imprime una nota realistica alla manifestazione linguistica presentata fluentemente nel racconto.
Le vicende quotidiane, cronologicamente ordinate, imprimono coesione ed ordine alla narrazione, egregiamente strutturata, espressione dell’aspetto sincronico dell’italiano, repertorio linguistico in continua evoluzione.
L’accanimento espressivo di una violenza più volte subita, di chi ha avuto il coraggio di parlare di un problema, molto spesso sottaciuto, che riguarda l’universo femminile, dà merito all’autrice per aver saputo rendere pubblico, questo genere di violenza, seppur frutto della mente creatrice che ha partorito un racconto sui generis: la vittima che si innamora del suo Nemico- ammiratore, l’architetto Lar, non del suo violentatore. Il fenomeno psicologico, anche noto col termine di Sindrome di Stoccolma, è spesso utilizzato nei racconti letterari. Già nel ‘500 Torquato Tasso, nel poema epico la “Gerusalemme liberata”, aveva creato il personaggio di Erminia, donna mussulmana, che si innamora del nemico, Tancredi, eroe cristiano.
Altre storie, incentrate su questo fenomeno, hanno avuto origine nella letteratura internazionale, così come nel linguaggio cinematografico contemporaneo. Alcune opere letterarie hanno il dovere di scuotere le coscienze, attraverso vari espedienti che utilizzano il valore connotativo nell’ambito dei significati, ma possono servirsi del valore denotativo, come in questo caso, aderendo così alla matrice neorealistica del linguaggio letterario che pone in essere il contesto linguistico di provenienza, mentre le descrizioni particolareggiate servono a sottolineare la crudezza a volte di un vissuto personale. L’opera tuttavia si presenta di gran pregio sotto il profilo lessicale, sintattico e morfologico.
La villa da abbellire diviene, invece, il simbolo della creatività, dove l’artista Tarina, protagonista del racconto, in contrasto con lo stupro, dovrà “ vagare, dipingendo e liberando la mente, nei viali della sua immaginazione” mentre lo scrivere diventerà per lei “la via attraverso la quale fuggire per sopravvivere”.
Il rapimento, con tutto quel che ha comportato, fa riaffiorare spesso la dimensione inconscia dell’autrice che inserisce volutamente elementi autobiografici, svelanti tante verità, sulla propria condizione esistenziale.
La vita con tutto il suo carico di esperienze positive e negative, alla fine, avrà un’inversione di rotta. Tarina si ribella immediatamente alla violenza e più tardi anche al ruolo di madre e di moglie nell’intreccio della storia, sollecitata dal sentimento di amore per Lar, persevererà nel suo impegno di artista e scrittrice, ed abbandonata alla profonda passione amorosa che si “ insinuava fin nei luoghi più nascosti della sua anima”, sceglierà chi potrà restituirle la dignità di essere donna.