Di Redazione
L’opera di P. Lucchese “Correvo a piedi nudi” segue il dipanarsi di sensazioni ed idee, attraverso la lucida consapevolezza che ricomporre frammenti di esistenza è un ottimo espediente per andare alla ricerca della propria identità. Il passato viene fissato per sempre nella scrittura. Le intermittenze della memoria costituiscono pertanto la linfa, per far rivivere ciò che appartiene al passato.
P. Lucchese, come egli stesso afferma, non si sottrae al piacere ed al dovere di richiamare in vita, attraverso lo scritto, tutto ciò che” ha guidato ed incrociato passi e sguardi nella sua esistenza”.
L’infanzia era stata fonte inesauribile per la sua fervida immaginazione, priva di censure, non ancora segnata dai divieti della ragione.
L’autore fa parlare, dunque, i suoi sentimenti e, come in Proust, l’oggetto diviene simbolo, perché in grado di svelare e cogliere profumi, colori e suoni di un passato eternamente presente nello scrigno della memoria. Il viaggio della memoria non fa altro che ridestare “ la voce di un mondo “ che l’autore si porta dentro, per questo il suo dovere è dare consistenza a quel mondo attraverso una scansione ordinata cronologicamente di tutto ciò che costituisce un piccolo indizio o una piccola traccia.
In quei ricordi egli vede riflessi, come in uno specchio, “gli stenti e le inenarrabili fatiche”, espressione della propria condizione esistenziale.
La storia personale diviene così un tassello della “ plurimellenaria” vicenda di quella striscia di terra protesa nel Mediterraneo che ha segnato il modo di parlare e di vivere di tanta gente, attraverso un miscuglio di culture e di convivenze.
Il diario retrospettivo di P. Lucchese, mediante la mente rimembrante, sembra cogliere tutto ciò che unisce le persone, come la regola di San Benedetto gli aveva insegnato nell’esperienza camaldolese adolescenziale. L’atto di scavalcare i muretti diviene una metafora che nell’esuberanza dirompente dell’infanzia rappresentava l’inizio “per una futura corsa in salita e ad ostacoli” nel flusso della propria vita.
L’impronta formativa del Collegio camaldolese forgerà negli anni a venire la sua personalità e la forma mentis. La mancata vocazione ad abbracciare la vita monacale porterà l’autore a ritornare alla sua Terra, Pulsano e da quel momento si dedicherà all’attività di insegnamento nella scuola elementare e all’impegno di costituire una famiglia insieme a Giovanna Pozzessere, insegnante vincitrice di concorso anch’ella. La fine degli anni Sessanta lo videro collaborare con un mensile redatto in ambito parrocchiale, in cui numerosi spunti riflessivi prendevano vigore grazie a quell’esperienza. Sono presenti nell’opera le lettere, come scambio comunicativo con maestri della sua formazione culturale o amici. Queste si rivelano un efficace strumento per penetrare nella sua personalità, per esplorare lo spazio interiore della coscienza. Un altro nobile obiettivo della sua ascesa professionale sarà rappresentata dal conseguimento della laurea, sebbene impegnato nello svolgimento dell’attività di maestro nella scuola elementare e di padre di due bambine in quel periodo. L’abilitazione all’insegnamento di Storia e Filosofia lo porterà ad insegnare nei licei. In quegli anni offrirà anche il suo apporto come esperto nelle problematiche della scuola. Numerosi e vari furono gli articoli su questo argomento su riviste e testate locali.
Palpabile appare lo sfondo storico della fine degli anni Sessanta in cui si avvilupparono le esperienze personali di quegli anni difficili e cruenti per la nostra storia: la contestazione studentesca dei sessantottini, il fenomeno del terrorismo nei cosiddetti anni di piombo. La straordinaria coincidenza di trovarsi in aula a fare lezione, nel Liceo “Archita” di Taranto, il giorno in cui perse la vita uno dei più grandi statisti italiani, il pugliese Aldo Moro, che era stato studente liceale, in quella stesso liceo, nei lontani anni Trenta, rende più veritiero il racconto. La trasformazione che investiva l’ Italia in quegli anni era la risultante di una condizione di rinnovamento che, nel bene e nel male, caratterizzò la coscienza storica dei contemporanei ancorati alla certezza della indissolubilità dei valori civili e religiosi.
La solidarietà con i valenti ed illustri pulsanesi come Cosimo Fornaro, Piero Mandrillo, Ludovico Schirano, Tito Lucchese è la dimostrazione di come si possa riscontrare l’affinità di intenti con amici dai sentimenti conformi in grado di suggellare e confermare la fede di chi come lui ama la cultura.
L’esperienza scolastica successiva in qualità di Preside negli anni difficili in quell’”azienda in liquidazione”, quale risultò essere la scuola, videro umilmente Pietro Lucchese raccogliere le lamentale di tutti coloro che operavano in essa. Più volte con la competenza che possiede riportarva note degne di attenzione in riviste specialistiche a carattere nazionale, a cui spesso e volentieri egli prestava la propria collaborazione mediante i propri articoli.
Alla fine del suo encomiabile excursus, tenuto ai suoi numerosi studenti ed insegnanti, poco prima che andasse in pensione, l’autore ha amato lasciare di sè un affettuoso monito come traccia di un impegno atto a favorire altre possibilità di incontro in quello spazio dell’animo dove per sempre c’è continuità con le nostre origini storiche e soprattutto con la nostra tradizione di civiltà.
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