Di Ester Lucchese
Nel periodo più lieto della nostra vita il mondo ci appare un meraviglioso universo da esplorare, dove l’intelligenza attiva ci trascina nel labirinto della nostra anima e traccia il destino di ciascuno di noi. E. Scalfari nella sua opera, pubblicata nel 2008 ed intitolata ” L’uomo che non credeva in Dio”, ripercorre tutte le tappe della sua esistenza con prorompente freschezza, quella che solo una penna d’autore poteva imprimere. Egli esprime un vivo riconoscimento alle donne, figlie, moglie, compagne di lavoro, grazie alle quali è stato invogliato a scrivere ed a dedicare loro la “ memoria sentimentale del proprio passato”. Un tratto caratteristico risulta essere quella stretta corrispondenza fra scrittura e pensieri. Partendo dai ricordi della sua infanzia, definita obbediente, perché vincolata dal nucleo di provenienza familiare, riconosce tuttavia che in essa si è compiuta una meravigliosa” stagione fatata”. L’adolescenza, invece,è la fase in cui si delinea la propria personalità che assume caratteri di una “ stagione creativa e sognante”. Essa corrisponde agli anni della scuola nei quali si rinvigorisce il proprio patrimonio culturale e si intensificano le amicizie importanti. È quella la stagione in cui la propria presenza nel mondo si “ confonde con la voce degli alberi che vive nel vento come quella delle campane” e che egli impara ad ascoltare. Luoghi, case e persone diventano entità strettamente connesse. Alle soglie del periodo successivo, la maturità, si istalla, invece , la coscienza per cui si ispessisce la difesa dell’Io ed è quasi impossibile accogliere quell’innocenza perduta. Riporto le testuali parole dell’autore. Compiuto il percorso terreno e recuperata l’innocenza, le anime avranno accesso alla diretta contemplazione di Dio e vivranno nella beatitudine eterna. Scalfari sottolinea il fatto che le “ anime salvate”, avendo avuto esperienza del male, riescono tuttavia a recuperare la loro coscienza, la loro memoria ed il loro io. Successivamente l’esperienza giornalistica diventa una vocazione per il fatto di offrire” al meglio un servizio utile alla comunità” che sia in grado di formare le coscienze in modo chiaro, limpido ed efficace. La vita vissuta intensamente e l’acuirsi della capacità critica creano i presupposti per raccontare il viaggio della propria anima, passando in rassegna quei ricordi in cui vien fuori la certezza di essere stati buoni, “ di non aver prevaricato e di non essere stati avari di se stessi”. La sua vista interiore ha intuito che la vecchiaia è, nonostante tutto, una” bella stagione” in cui l’amore per gli altri supera l’amore di sé ed in cui si recupera l’innocenza perduta per cui è possibile accettare di morire in quanto si è consapevoli che tutto ciò fa parte della vita.
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