Di Salvatore Stano
Il 12 settembre del 1943, dodici tra Vigili Urbani e Netturbini vennero fucilati dagli invasori nazisti. Anche quest’anno la storica Città della Disfida commemorerà le prime vittime civili italiane della rappresaglia nazista dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il comune di Barletta, medaglia d’oro al valor civile, ha diramato il calendario delle celebrazioni: onori militari, santa messa in cattedrale, corteo e deposizione di corone in Piazza “Monumento ai Caduti in guerra” e presso il Bassorilievo commemorativo dei Vigili Urbani e Netturbini uccisi dai nazisti.
I fatti di quel 12 settembre del 1943 sono raccontati, con abbondanza di dettagli, nel libro dello storico tedesco Gerhard Schreiber, (La vendetta tedesca, le rappresaglie naziste in Italia):
“Alle due del mattino dell’ 11 settembre del 1943 arriva a Barletta un fonogramma firmato dal generale Caruso, comandante del IX Corpo d’Armata, in cui si diceva ‘di considerare le truppe germaniche come nemiche e di agire di conseguenza’. Il colonnello Grasso, comandante durante la guerra del presidio militare di Barletta, decide allora di sistemare i suoi uomini, cinquecento circa, tutt’ intorno alla città: nella mattinata inoltrata, attorno alle 11, le truppe tedesche arrivarono da Andria e avvenne un primo scontro. I soldati italiani riescono in un primo momento a resistere e il colonnello Grasso chiede rinforzi. Gli aiuti non arriveranno mai. Il giorno dopo sul cielo della città compaiono tre aerei Stukas e i paracadutisti tedeschi marciano verso Barletta. Alle nove del 12 settembre i soldati nazisti prendono il castello, sede del presidio militare italiano, e il colonnello Grasso (poi deportato in un campo di concentramento) e i suoi soldati italiani sono costretti ad arrendersi”.
Durante gli scontri all’interno dell’abitato iniziava il dramma che avrebbe determinato il massacro del giorno seguente: due motocarrozzette porta ordini tedesche cadono in un’imboscata nei pressi di Piazza Roma. Due soldati tedeschi restano uccisi. E fu così che Barletta sperimentò per prima, in Italia, la feroce durezza della legge di guerra germanica in fatto di rappresaglia in caso di cruenta offesa, ai suoi soldati, da parte di civili. Le direttive dell’alto comando tedesco imponevano di riportare l’ordine e per farlo occorreva un esempio:
“La mattina del dodici settembre, dopo aver dato alle fiamme la stazione ferro¬viaria di Barletta e ucciso quattro soldati tra quelli che erano lì di guardia in di¬fesa del rifugio n.1, nella Piazza Francesco Conteduca, i tedeschi, coperti dai mi¬tragliamenti e dagli spezzonamenti dei Paracadutisti di Gericke, incendiarono il Palazzo delle Regie Poste, penetrarono nella caserma dei Vigili urbani posta in Via Vecchia Cappuccini alle spalle dell’edificio postale, ne prelevarono dodici, compreso il Comandante (precocemente sfilato e graziato dagli stessi tedeschi da quella processione di morte!), ivi presenti, più due netturbini, e in fila indiana imposero loro di uscire e di allinearsi sul muro laterale del Palazzo delle Poste… Nell’ordine da sinistra ci sono i vigili Antonio Falconetti, Pasquale Del Re, Luigi Gallo, Vincenzo Paolillo, Gioacchino Torre (assunto quaranta giorni prima), gli spazzini Luigi Jurillo e Nicola Cassatella e poi ancora i vigili Pasquale Guaglione, Michele Spera, Francesco Gazia, Sabino Monteverde, Michele Forte e Francesco Falconetti.
Venne scattata la foto documentale, quindi fu sparata la prima raffica di colpi. Feriti in modo più o meno grave, i tredici martiri, si strinsero l’uno all’altro per cercare una futile protezione. La seconda raffica di colpi, però, non lasciò nessun superstite. Almeno in apparenza. Sotto il cumulo di cadaveri, infatti, il giovane vigile urbano aggiunto Francesco Paolo Falconetti, era ancora vivo. Ad accorgersene fu una donna, Addolorata Sardella, che aiutata da altre persone riuscì a portare al sicuro il ferito…” (fonti: “8 settembre 1943 – L’armistizio a Barletta” di Maria Tarantino Grasso; “La Resistenza di un soldato da Barletta allo Stalag 367 – Diario del Colonnello Grasso di Maria Grasso Tarantino; “Famiglia Cristiana” n. 44 dell’11 novembre 1973)
La scena della cattura e dell’esecuzione immediata degli ostaggi è fedelmente riportata dall’unico sopravvissuto.
“Noi Vigili Urbani (…) ci eravamo chiusi nel nostro Ufficio (…) Dall’interno vedem¬mo che un Tedesco con fucile mitragliatore (…) si era fermato e rivolto verso il no¬stro Ufficio. Titubanti notammo che chiamò altri due soldati, ed avvicinatisi all’in¬gresso [via Vecchia Cappuccini, 2 – attuale via Renato Coletta], uno di essi aprì la vetrina, credo un graduato, che entrò per prima: erano le 9. Lo stesso graduato con mitra puntato ci comandò di levare le mani in alto e contemporaneamente ci fece perquisire dagli altri due Tedeschi. Assicuratosi che eravamo disarmati fummo obbligati ad uscire (…) Eravamo in 14: 12 vigili compreso il Maresciallo Capuano e 2 Netturbini. (…) ci domandò quale di noi parlasse il Francese, e il Maresciallo Capuano si fece avanti rispondendo con qualche frase; in pari tempo con ordine perentorio ci fece avviare verso il Monumento dei Caduti, dove ci fermammo.
La Piazza era completamente sgombra di civili: erano solo presenti un 100 Tede¬schi, sparsi agli sbocchi di accesso. Qui il Maresciallo Capuano fu staccato da noi e allontanato per ordine di un Tedesco (…) Eravamo rimasti in tredici, quand’ecco arrivare un Ufficiale Tedesco con la mano sinistra fasciata alla meglio, credo, con un fazzoletto e grondava sangue (…) diede ordine di avvicinarci al muro del lato sinistro dell’Ufficio delle Poste (…) Dopo di che fummo fotografati al muro, e un attimo dopo fu sventagliata da un Tedesco una prima raffica di mitra in direzio¬ne dei nostri petti (…) ci stringemmo uno all’altro, come un gruppo, mentre una seconda raffica ci colpi ai piedi e cademmo a terra uno sull’altro formando un groviglio umano, ed ancora una terza raffica ci raggiunse.
Io ero sotto il gruppo dei corpi inerti, perché caduto per prima, e sentii che un Te¬desco mediante calci, si assicurava se fossimo tutti morti. (…) Fummo tutti abban¬donati per terra, ingrovigliati e grondanti sangue circa due ore (…) Vidi qualche passante di lontano; chiesi aiuto con un fil di voce, ma invano, perché ognuno forse temeva i Tedeschi. Quasi svenuto e privo di sensi, fui riconosciuto dal movimento della mia mano da una donna (…) Sardella Addolorata, la quale (…) coadiuvata da Lucia Corposanto, mi tirò fuori dal mucchio dei cadaveri (…)
Devo la mia salvezza per essermi trovato, cadendo alla seconda raffica, sotto i ca¬daveri dei miei compagni, e per non aver emesso alcun lamento, pur avendo sen¬tito molto dolore, all’urto del calcio del Tedesco; e per di più, perché di certo sarei morto per perdita di sangue, per essere stato a tempo rimosso, sottratto ed aiutato dalla signora Addolorata Sardella, a cui rendo per sempre la mia gratitudine.” (G. D’Amato, L’occupazione Tedesca a Barletta, 12-24 settembre 1943, Tip. Vecchi & C. Trani, 1973, pagg. 223, 224)
L’episodio di Barletta fu il primo eccidio per rappresaglia che i tedeschi misero in atto, nel nostro Paese, subito dopo l’armistizio. I segni di quel giorno sono ancora visibili, nel muro sinistro dell’Ufficio Postale: i buchi lasciati dai proiettili, infatti, non sono mai stati ricoperti a perenne ricordo di quel tragico avvenimento.
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