Di Salvatore Stano
Fu il medico inglese James Parkinson, nel 1817 adescrivere per la prima volta nel suo trattato An Essay on the Shaking Palsy, la malattia idiopatica – sovente definita morbo di Parkinson – caratterizzata da tremore a riposo, detta anche paralisi agitante. Il morbo di Parkinson deve la sua “notorietà” a persone illustri che hanno raccontato al mondo i sintomi e le difficoltà di convivenza con una delle più comuni malattie del sistema extrapiramidale. Il più famoso tra i personaggi malati di Parkinson è senza dubbio il Michael J.Fox di “Ritorno al Futuro”: l’attore ha ricevuto la sconvolgente diagnosi già alla giovanissima età di 30 anni, nel 1991, quando era al vertice della sua carriera di attore hollywoodiano. La sua fondazione (The Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research) da anni si occupa di promuovere la ricerca sulla malattia che ha colpito l’attore. Ed è proprio dalla ricerca che arrivano buone notizie sulla possibilità di debellare definitivamente una malattia che affligge milioni di persone. Dati degli USA, mostrano che la malattia colpisce circa 160 persone su 100.000 abitanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’1% della popolazione oltre i 65 anni è affetto da questa malattia, con una frequenza di 150-200 per ogni 100.000 abitanti. Secondo l’ONU, al mondo ci sono circa 4 milioni di persone affette dal morbo di Parkinson. Con l’aumento della speranza di vita e l’invecchiamento della popolazione si ritiene che tale cifra raddoppierà entro il 2040. In questi giorni due importanti scoperte fanno eco nel campo medico-scientifico della ricerca sul Parkinson: la scoperta di una proteina chiamata C-Rel, capace di difendere l’organismo dalla malattia e lo sviluppo di un microchip di silicio impiantabile nel cervello, capace di dialogare con i neuroni. Le differenti scoperte sono da attribuire rispettivamente ad un team di ricercatori dell’Università di Brescia, coordinato da Marina Pizzi e Pier Franco Spano, in collaborazione le Università di Verona, Cagliari, Cambridge e Cornell University di New York, e da un consorzio di scienziati italiani, israeliani e tedeschi coordinato da Stefano Vassanelli, neurofisiologo al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Padova. La proteina C-Rel protegge i mitocondri, ovvero le parti di cellula che canalizzano l’ossigeno e producono energia, evitando che vengano attaccati dai radicali liberi e da altri fattori di invecchiamento precoce. Lo studio eseguito in laboratorio su topi anziani ha dimostrato che, togliendo la proteina C-Rel dalle cellule, essi cominciano a mostrare i primi segni del Parkinson (avanzato tremore e difficoltà nei movimenti) che invece si quietavano del tutto se la proteina veniva reintrodotta nelle loro cellule. Questa scoperta, unita alla parallela sperimentazione di un composto chimico che bilancia la carenza di dopamina nel cervello, garantirebbe la vera cura per il Parkinson e già si pensa a un futuro prossimo con un farmaco con capacità curative. Il microchip che dialoga con i neuroni nasce invece dalla ricerca, condotta nell’ambito del progetto CyberRat finanziato dalla Comunità europea. Gli studiosi hanno creato un microchip rivestito di diossido di Titanio, attraverso il quale si può registrare l’attività e la vita di popolazioni di neuroni presenti nelle zone cerebrali interessate. Direttamente impiantabile nel cervello attraverso un annesso ago, il microchip consente infatti di stabilire con i neuroni una comunicazione bi-direzionale: da cervello a chip, registrando l’attività neuronale, e da chip a cervello stimolandola. Questa tecnologia, in futuro, potrà essere utilizzata per creare neuro-protesi ‘intelligenti’, non solo in grado di registrare l’attività cerebrale ad alta risoluzione ma anche di restituire le risposte adeguate stimolando opportunamente il cervello soprattutto contro alcune patologie neurologiche, come il Parkinson.