Di Ester Lucchese
L’inserimento nel mondo del lavoro non è ritenuto necessario da chi possiede la sicurezza della famiglia di origine! Il problema diventa urgente non appena si varca il periodo della maggiore età, quando si constata la necessità che bisogna provvedere ai propri bisogni materiali e spirituali. Molti decidono di impiegare il proprio tempo a studiare ed a preparasi adeguatamente per intraprendere con dignità una professione. Inizialmente questo percorso si compie per amore della propria formazione a costo di rinunce anche corporali e di tante cose che non sto ad elencare, perché sono differenti per ognuno di noi. Quante volte l’orologio biologico mi ha spinta ad anticipare il risveglio perché la necessità di studiare mi obbligava ad accorciare i tempi, per affrontare, senza intoppi, gli esami universitari? Poteva essere in pieno inverno o in piena estate. Nonostante avessi già la famiglia mi imposi, a causa del fatto che dopo sposata fossi “fuori corso”, di intensificare l’impegno di concludere gli studi accademici ed affrontai così prove veramente difficili, perchè conseguissi quel titolo, secondo il vecchio ordinamento, senza il quale non avrei potuto sperare di aspirare alla professione docente. Quando poi sembrava che tutto stesse volgendo a mio favore, perché ero stata assunta da una scuola privata, sembrò che quell’aspirazione pian piano perdesse colpo, a causa dei sistemi in atto in codeste istituzioni e perché, a quel prezzo, preferii rimanere a casa ad accudire le mie figlie! Col passare degli anni invece si acuì in me la convinzione che il mio stare al mondo non poteva espletarsi essenzialmente in seno alla famiglia e trovai enorme soddisfazione ad interfacciarmi con una classe di alunni attraverso i PON, come esperto esterno soprattutto. Verificai personalmente che l’alimento quotidiano era costituito da un universo culturale fatto di gente, libri, incontri, opere d’arte, scenari paesaggistici naturali e via discorrendo. Ebbi la forza, nonostante il tempo passasse, di coltivare segretamente la convinzione che il lavoro di insegnante mi avrebbe sostanzialmente gratificata. Iniziai il cammino spirituale con la consapevolezza di poter chiedere a Dio di valorizzare quotidianamente l’aspettativa, anche familiare, di vedere realizzare il sogno di un impegno lavorativo che si conciliasse con quello di essere madre. Il reclutamento non ebbe un esito positivo. Il primo concorso a cattedra nel ’99 non andò bene. In seguito anche l’inserimento per l’ammissione alle SISS si rivelò per me deludente. Cominciai a pensare che qualcosa in me non andasse bene e continuai a non perdere le occasioni per studiare, aggiornarmi, facendo corsi a pagamento e master post-laurea, con risultati lusinghieri, come del resto era stato col conseguimento del titolo accademico. E l’ultima delusione, quel 25 luglio di quest’anno a Lecce per la preselezione al TFA, proprio mentre caldeggiavo la convinzione che nonostante l’età avrei potuto abilitarmi con la mia laurea specialistica! Mi rincuorava l’idea che il TFA sarebbe stato un alternativo sistema di reclutamento, ma in realtà, all’indomani dal concorso nazionale, la qual cosa risultò essere fallimentare. Le notizie sulle prove per la preselezione si accanivano a mettere in evidenza, contestando, anche quest’altra volta ” la realtà del reclutamento nelle scuole italiane”. Quanto segue è ciò che ho letto sul quotidiano La Stampa: “ In rete è visibile un video in cui le prove del TFA vengono paragonate allo sterminio degli ebrei prendendo a prestito la frase di un recente film sul dittatore tedesco: AVEVO CHIESTO UNA SELEZIONE, NON UNA STRAGE”. Appena uscii dal campus “Ecotekne” con la mia bella busta della spazzatura che qualcuno ci aveva consegnato nell’aula di giurisprudenza (distintivo per tutti i dottori in lettere quel giorno!) dove avevo riposto gli occhiali da vista, il mio telefonino da 19 euro, la borsa firmata che mi aveva regalato mia sorella, un segnalibro disegnato dalle mie figlie, il Curriculuum vitae e, non nascondo, qualche altro portafortuna, come l’agenda che mi aveva consegnato mio padre, a cui avrei confidato ogni mia delusione, perplessità, progetto e qualche piccolo sfogo come quello che scrissi quel giorno non appena mi fui riappropriata della dignità e degli oggetti più cari: La possibilità di poter dire ho portato a termine un impegno è una soddisfazione! Solo quello! Non nascondo l’evidenza cioè il fatto di essermi sentita in tutto questo tempo un mumero” il 256” . Qualcuno dopo aver consegnato la prova ha simpaticamente proferito queste parole: <<E’ finito il sequestro di persona? >>. Ai tanti innumerevoli candidati, nonché colleghi, mi sento di augurare un avvenire comunque ricco di soddisfazioni! E soprattutto di dirgli: Inventatevi un lavoro!