Di Ester Lucchese | ???VIDEO???
Il folclore, la voce diretta della storia del passato attraverso le generazioni, trova alimento nella letteratura, nella musica, nell’arte, nelle feste religiose. Le tradizioni popolari riaffiorano nelle leggende, nei riti, nelle usanze del lento trascorrere del tempo. Tutto questo costituisce una risorsa importante per la cultura e l’economia di un paese. Ogni popolo ha il dovere pertanto di comprendere il passato per far emergere e quindi conoscere le proprie radici alle nuove generazioni.
Gli studi condotti da autorevoli ricercatori del settore conoscitivo dell’Antropologia culturale hanno favorito la trascrizione di tutto ciò che si conservava e tramandava oralmente, mediante riti, costumi, credenze, correlate alla specificità di un luogo o di una particolare popolazione.
I Il tarantismo come fenomeno clinico e antropologico La taranta, una danza popolare dell’Italia meridionale, affonda le proprie radici nelle tradizioni ed è accompagnata da strumenti popolari. L’origine di questa musica tradizionale, si può collegare alla necessità di comunicare nell’ambito di una comunità ristretta e spesso chiusa. Secondo la credenza popolare salentina il tarantismo era una malattia provocata dal morso della tarantola, che avveniva nei mesi estivi e che provocava uno stato di catalessi, unito a sudorazioni e palpitazioni.
La tarantata, che giaceva al suolo o sul letto, ascoltava la musica e cominciava a muovere la testa e le gambe, strisciava sul dorso, e si identificava con la taranta e batteva i piedi a tempo di musica come per schiacciare il ragno, e poi stremata dalla stanchezza crollava per terra. Successivamente veniva graziata da San Paolo e veniva condotta presso la cappella del Santo, a Galatina (LECCE), beveva l’acqua sacra del pozzo adiacente ad essa e ripeteva simbolicamente un breve rito coreutico Secondo una ricerca compiuta da E. De Martino il fenomeno è stato valutato attraverso due manifestazioni: la prima ingloba il fenomeno essenzialmente in un contesto storico-religioso, la seconda è riferita alla sindrome tossica da morso del latrodectus tredecim guttatus.
L’équipe che nel ’59 era stata incaricata ad osservare il fenomeno giunse alla conclusione che il tarantismo era il risultato di un condizionamento storico-culturale, ragion per cui doveva essere visto da un punto di vista simbolico, come una celebrazione stagionale di una cerimonia. Si parlò dunque di un “avvelenamento simbolico” le cui cause dovevano essere attribuite ai traumi, alle frustrazioni delle vittime che venivano esorcizzate mediante la musica, la danza ed i colori. Il simbolo della taranta- sostiene De Martino– comporta un “ ethos”, un progetto di vita insieme, un impegno ad uscire dall’isolamento nevrotico per partecipare ad un sistema di fedeltà culturali e ad un ordine di comunicazioni interpersonali tradizionalmente accreditato e socialmente condiviso.
. “Oggi noi sappiamo che il morso non è assalto di démone, ma il cattivo passato che torna
e si propone alla scelta riparatrice. Momento di un interiore rimordere, sintomo cifrato di conflitti
operanti nell’inconscio. Ecco perché il tarantismo ci riguarda da vicino e sfida, ancor oggi, le insidiate potenze della nostra modernità.”(Ernesto de Martino da Sulla terra del rimorso)
I lavori più recenti di studiosi del tarantismo come quelli eseguiti da P. De Giorgi ravvisano interessanti relazioni tra il tarantismo ed i riti pre- greci e greci cristianizzati. Inoltre l’autore mette in risalto la figura femminile in questa pratica folclorica, evidenziando i rapporti con il culto antico della Magna Mater.
II La taranta pugliese
Il documentario di G. Mingozzi, la Taranta, realizzato nel 1961, fu arricchito da un illuminante commento del poeta S. Quasimodo, sul Salento e sul caratteristico fenomeno, che riporto integralmente “Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l’uomo cammina sui lentishi e sulla creta. Scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli . . .
Anche le pietre squadrate, tirate su dall’uomo, le case grezze, le chiese destinate alla misura del dolore e della speranza, seccano e cadono nel silenzio. Avara è l’acqua a scendere dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti” . . . “È terra di veleni animali e vegetali qui cresce nella natura il ragno della follia e dell’assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono solo il lavoro arido della terra, distruttore della minima pace del giorno. Qui cresce tra le spighe di grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l’ansia di una stregoneria possibile, domestica. I geni pagani della casa sembrano resistere ad una profonda metamorfosi tentata da una civiltà durante millenni”. Attualmente si usa il termine “taranta” al posto di “pizzica” per indicare il genere musicale e coreutico ( termine riferito all’arte della danza) .Si è svuotata però col passare degli anni questa tradizione da ciò che era privazione, povertà e dolore perché divenisse un simbolo identitario positivo per l’intera comunità
(S. Blasi). Gli antropologi attraverso l’etnografia hanno potuto osservare direttamente questa danza particolare che veniva suonata nei momenti di festa dei singoli gruppi familiari o di intere comunità locali. La taranta veniva eseguita da orchestrine composte da vari strumenti – tra i quali emergevano” il tamburello ed il violino per le loro caratteristiche ritmiche e melodiche – che venivano impiegati per “esorcizzare” le donne tarantate e guarirle, attraverso il ballo che questa musica frenetica scatenava, dal loro male”. Il cantautore E. Bennato nel suo brano musicale ispirato all’antica tradizione salentina ne fa una felice descrizione adoperando le seguenti parole:
“La taranta è il profondo sud è quella musica che tu all’ìmprovviso sentirai, è il ballo che non finisce mai, è il passo che dovrai imitare per liberarti del male d’amore così ballando meridionale”.
III Il mitoVi è la tendenza da parte di alcuni studiosi a scorgere tracce del tarantismo nell’antichità classica e nella mitologia greca. Il mito di Aracne, i culti dionisiaci, le pratiche baccanali sono i temi che maggiormente vengono collegati al tarantismo: vari sono i percorsi metodologici adoperati negli studi di settore, uno di questi è proprio il riferimento alla cultura classica mitologica. Vi sono più versioni del mito aracneico. Quella data da Ovidio parla di una giovane donna molto bella e di umili origini, nota in tutta la Lidia per l’arte della tessitura in cui eccelleva, tanto che le Ninfe andavano da lei per osservare la sua esperienza. Aracne era davvero impareggiabile in quest’arte tanto da accettare la sfida con Minerva, divinità protettrice della tessitura. Inserì, infatti, nella sua tela, oggetto del contendere, i mortali tra gli amori degli dei dell’ Olimpo. Fu punita dalla dea per questo. Minerva distrusse la tela, si avventò contro la tessitrice avversaria colpendola con la spola. Essendo stata trasformata in un ragno il suo destino fu per sempre quello di tessere le sue ragnatele. Ma il mito di Aracne fa riferimento ad un’altra leggenda. Si narra che la giovane donna sedotta da un marinaio rimase sola per lunghissimo tempo. La lunghissima attesa ebbe un triste epilogo. Mentre l’imbarcazione del marinaio si avvicinava alla costa fu affondata e coloro che erano a bordo furono uccisi. Quando Aracne morì, il grande Zeus, per restituire il torto ricevuto la rimandò in terra, non più nelle sembianze di una donna ma come una tarantola.
IV La letteratura ed il mito di Aracne
Aracne è citata dal poeta latino Virgilio nelle Georgiche. Nella letteratura italiana il mito riecheggia nel XII canto del Purgatorio della Divina Commedia. Scrive Dante Alighieri, (vv.43-45): O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fé. Nel capitolo 17° del De mulieribus claris il Boccaccio esalta Aracne dicendo che: “Ella colle dita, colle fila e colla spola e colle altre cose destre a siffatti uffizi, lavorava quello che il pintore faceva col pennello”. Il celebre esponente della poesia barocca Giambattista Marino dedica ad Aracne il seguente componimento poetico” Donna che cuce “È strale, è stral, non ago/ quel ch’opra in suo lavoro/ nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro; onde, mentre il bel lino orna e trapunge,/ di mille punte il cor mi passa e punge. Misero! E quel sì vago/ Sanguigno fil che tira/ Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira La bella man gradita/ È il fil de la mia vita.
Leonardo da Vinci anch’egli dà un ‘interpretazione simbolica al morso della taranta come si evince da una sua favola intitolata ll morso della tarantola La riporto integralmente.
Un contadino stava vangando il suo campo, quando da una zolla scappò fuori una grossa tarantola. – Che brutto ragno! Esclamò il contadino tirandosi indietro.
– Se mi tocchi, ti mordo, sibilò inferocita la tarantola. E ti avverto che il mio morso è velenoso e ti farà morire tra dolori atroci. Il contadino la guardò e capì subito che mentiva perché parlava troppo. Fece un passo avanti e la pestò col piede scalzo dicendo: – O vediamo un po’ se mi farai morire per davvero! La tarantola, schiacciata, aveva fatto in tempo a morderlo, ma il contadino rimase nel suo convincimento, continuando a pensare che le minacce di quel ragno erano vane: e il morso, difatti, non gli dette che un po’ di bruciore. Nel primo romanzo di I. Calvino intitolato Sentiero dei nidi di ragno si parla di un luogo appartato e segreto dove il giovane protagonista nasconde, nel periodo della Resistenza, un’arma segreta sottratta al nemico. Il posto dove fanno il nido i ragni in realtà è l’emblema della scrittura, un luogo sicuro dove nel tessere come i ragni la scrittura ognuno può approdare con l’intento di continuare a crescere, nonostante le difficoltà della particolare condizione in cui si è incasellati. Vari altri esempi letterari mettono in risalto l’immagine del ragno e della tarantola per evidenziare un percorso all’insegna della formazione e della rinascita.