(2-Continua) E’ il 16.12.1987, dopo questa data nulla sarà come prima. Da quel giorno il tempo scorre velocemente, ma è da allora che la mafia ha deciso che FALCONE e BORSELLINO dovranno morire e, qualcun altro, che il “pool antimafia” deve essere smantellato. Le indagini continuano e si avvicinano troppo ai c.d. “colletti bianchi”, quei soggetti interni allo Stato ed alla società civile che, per i più svariati motivi, collaborano e fiancheggiano i mafiosi. Altri, quelli in buona fede ma sicuramente molto ingenui, pensano che la mafia sia stata sconfitta, si sbagliano pesantemente. Tutto inizia a crollare nel momento in cui Antonino CAPONNETTO lascia la Procura di Palermo per raggiunti limiti di età. E’ il gennaio del 1988, il C.S.M. (Consiglio Superiore della Magistratura), l’organo di autogoverno della magistratura italiana, designa quale nuovo Procuratore di Palermo il dott. Antonino MELI e non l’ovvio successore di CAPONNETTO, ovvero Giovanni FALCONE. Paolo BORSELLINO, dal 1986 divenuto Procuratore della Repubblica di Marsala, ebbe successivamente modo di affermare: “Quando Giovanni Falcone, solo per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli”.
Antonino MELI smantella il pool antimafia e decide che i suoi componenti debbano occuparsi anche di tutti gli altri reati, la mafia non è più una organizzazione verticistica e, pertanto, i reati vanno perseguiti autonomamente. Paolo BORSELLINO in quei giorni dirà: “si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio”, “hanno disfatto il pool antimafia”, “hanno tolto a Falcone le grandi inchieste”, “la squadra mobile non esiste più”, “stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa”. Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare. Giovanni FALCONE comincia a sentirsi solo e, come aveva più volte pronosticato, è proprio quando si è soli che la mafia ti colpisce. Le prove generali per uccidere FALCONE la mafia le fa nel giugno del 1989, è il fallito tentato dell’ADDAURA. I sicari di Totò RIINA, piazzano un borsone con cinquantotto candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, a pochi metri dalla villa affittata dal giudice, che stava per ospitare i colleghi CARLA DEL PONTE e Claudio LEHMANN. Il piano era probabilmente quello di assassinare Giovanni FALCONE allorché fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l’attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a far esplodere l’ordigno a causa di un detonatore difettoso, dandosi quindi alla fuga e abbandonando il borsone. Vent’anni dopo, nuove ipotesi investigative avallerebbero invece la ricostruzione che l’ordigno venne reso inoffensivo nelle ore notturne antecedenti dagli agenti Antonino AGOSTINO ed Emanuele PIAZZA, fintisi sommozzatori. AGOSTINO e PIAZZA verranno poi assassinati. Le “menti raffinatissime” sono all’opera, un pezzo di Stato briga con la mafia per togliere di mezzo l’ingombrante FALCONE, un altro pezzo dello stesso Stato lo salva.