In occasione del 25° anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone Francesca Morvillo e i tre uomini di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito schifani, l’amico Carmelo Colelli ci ha inviato un’elaborazione grafica per non dimenticare quella tragedia. Desideriamo condividerla con un articolo diviso in 5 puntate che associa quei giorni ai ricordi di un nostro antico collaboratore, l’Avvocato Pietro Carrozzini.
Mi perdonerete se inizio questo articolo con un ricordo personale. Lo faccio solo per cercare di spiegare cosa vuol dire per me, dopo vent’anni dalla terribile estate del 1992, scrivere di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il 23 maggio del 1992, era un sabato, mi trovavo a Roma. Avevo appena vent’anni è partecipavo al concorso per entrare nell’accademia della Polizia dello Stato. Non era una scelta dovuta alla voglia di indossare la divisa ma, per me figlio di un operaio e di una casalinga, rappresentava la possibilità di studiare e laurearsi in legge, ovvero quello che più volevo. Quel pomeriggio assolato, dopo le prove fisiche, ero rimasto solo in albergo, Roma era deserta tranne che per sempre numerosi turisti. Non avevo in camera la tv, né la radio e quindi la morte di Giovanni FALCONE giunse a me solo l’indomani mattina. Il messaggero? Mio padre, che dopo una nottata in treno, era venuto a trovarmi per starmi un po’ vicino. Lo ricordo come fosse ora. La prima pagina de “la Repubblica” – FALCONE ASSASSINATO – con la vignetta di FORATTINI, una Sicilia stilizzata con le fauci spalancate di un coccodrillo con coppola che piange mentre addenta un falco. Un tuffo al cuore, da quel giorno la mia vita è cambiata, come per molti altri giovani italiani. Giovanni e Paolo nascono entrambi a Palermo a meno di un anno di distanza, Giovanni era più vecchio di Paolo, ed entrambi nascono nel medesimo quartiere “La Kalsa”, dall’arabo al Khalisa, che significa la pura o l’eletta. Giovanni è figlio di un chimico e di una casalinga, Paolo di una coppia di farmacisti, i loro compagni di giochi sono gli stessi che anni dopo faranno arrestare nelle loro inchieste, vivono a 150 metri di distanza. Entrambi si laureano giovanissimi e vincono il concorso in magistratura molto presto, Paolo nel 1963 diviene il più giovane magistrato d’Italia, Giovanni nel 1964. Si incontrano professionalmente a metà degli anni ’70 nell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sotto la guida di un altro martire della mafia, il Procuratore Rocco CHINNICI. In quell’ ufficio nascerà il rapporto di amicizia e di colleganza che li terrà uniti sino al giorno della loro morte, avvenuta ad appena 56 giorni di distanza l’una dall’altra. Da quell’ufficio nascerà la prima e vera lotta alla mafia, o meglio a Cosa Nostra, così come si chiama veramente il sodalizio criminale. Nasceranno le indagini sul traffico internazionale di droga, che faceva di Palermo e della Sicilia tutta il più grande laboratorio di raffinazione dell’eroina del mondo. Loro due, assieme ad altri colleghi ed a pochi e fidatissimi investigatori, dimostreranno che la mafia, pur potentissima, può essere sconfitta. In quegli anni muoiono a Palermo e dintorni in maniera orribile e per mano vigliacca: il Capo della Squadra Mobile di Palermo, Boris GIULIANO ed il I dirigente Antonio, detto Ninni, CASSARA’, il dirigente della Squadra Catturandi Giuseppe, detto Beppe, MONTANA, l’agente di Polizia Calogero ZUCCHETTO, il Capitano dei Carabinieri Emanuele BASILE, il Colonnello dei Carabinieri Giuseppe RUSSO, il Capitano dei Carabinieri D’ALEO. Sotto i colpi della mafia cadono anche i magistrati: Pietro SCAGLIONE, Cesare TERRANOVA, Gaetano COSTA, Rocco CHINNICI, Antonino SAETTA, Antonino SCOPELLITI. Quegli anni a Palermo è un bagno di sangue, la mattanza non sembra mai finire, i Corleonesi fanno uccidere chiunque sia di intralcio ai loro affari, siano essi i mafiosi perdenti o uomini dello Stato che non si piegano o non guardano dall’altra parte. Dopo la morte di CHINNICI, nel 1983 arriva a Palermo un uomo mite e buono, ormai a fine carriera, Antonino CAPONNETTO.
In molti pensano che questo magistrato di lungo corso sia voluto tornare nella terra natia per chiudere in serenità la propria carriera, si sbagliano di grosso. Antonino CAPONNETTO, sulla scia di quanto già fatto da CHINNICI, crea il c.d. “pool antimafia”, ovvero un gruppo ristretto di magistrati che si occupano solo del fenomeno mafioso; ne fanno parte Giovanni FALCONE, Paolo BORSELLINO, Giuseppe DI LELLO, Leonardo GUARNOTTA, a cui successivamente si affiancarono Ignazio DE FRANCISCI, Gioacchino NATOLI e Giacomo CONTE. E’ l’intuizione determinante, la mafia è una associazione criminale di tipo verticistico, nulla avviene a Palermo e dintorni se non è deciso dalla CUPOLA, ovvero la cabina di regia del sodalizio criminale composta dai rappresentanti delle famiglie più importanti. Inoltre, la creazione del pool, risponde al duplice fine di frazionare i rischi personali mediante lo scambio e la circolazione delle informazioni e di assicurare una visione organica e completa del fenomeno mafia in tutte le sue manifestazioni delittuose.
Questo metodo di indagine, del resto già applicato dal magistrato Giancarlo CASELLI per la lotta al terrorismo, risulta vincente.
Tutto, dall’omicidio più insignificante al traffico di droga, dalle morti eccellenti al pizzo, è collegato ed univocamente riconducibile alla CUPOLA, in quegli anni comandata dai Corleonesi di RIINA e PROVENZANO. La conferma del c.d. teorema arriva con il pentimento di Tommaso BUSCETTA che, rientrato in Italia dall’esilio brasiliano per sfuggire alla condanna a morte inflittagli dalla mafia vincente, spiega a Giovanni FALCONE quale è l’organigramma di Cosa Nostra. Arrivano, per la prima volta, le condanne per i “mammasantissima”, il maxiprocesso di Palermo sentenzia 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il “pool antimafia”. E’ il 16.12.1987, dopo questa data nulla sarà come prima.
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