Di Pietro Carrozzini
In questi giorni si fa un gran parlare dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e, da più parti, si invoca la necessità di uncambiamento per rilanciare l’economia italiana. Purtroppo molti, ma questo è un vizio tipicamente “italiota”, parlano di qualcosa ma, è evidente che non hanno mai nemmeno letto l’articolo. Infatti, la disposizione non pone il divieto di licenziamento ma, giustamente, sanziona quei licenziamenti privi di giustificazione (altrimenti detti privi di giusta causa e/o giustificato motivo) o comunque illegittimi (ovvero quelli intimati oralmente o avente carattere discriminatorio), disponendo l’obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il dipendente, oltre a corrispondergli un risarcimento economico. Inoltre, la reintegra nel posto di lavoro (c.d. tutela reale) è applicabile solo a quei datori di lavoro che abbiano specifici requisiti dimensionali, ovvero più 15 dipendenti alle proprie dipendenze (per l’imprenditore agricolo basta avere più di 5 dipendenti). Questo e nient’altro dice la norma. E’ evidente quindi che gli slogan propalati da taluni soggetti – tra questi alcuni eminenti giovanissimi turbo-professori universitari con spinta genitoriale incorporata – secondo cui in Italia “..non si può licenziare…” , affermano una solenne corbelleria o, a pensar male, una consapevole bugia. La norma di cui parliamo, come pure tutto l’intero impianto della Legge nr. 300/1970 più nota come Statuto dei Lavoratori, rappresenta la massima evoluzione teorizzata nel secolo scorso a tutela dei lavoratori, ottenuta al prezzo di mille sacrifici e battaglie sindacali pesantissime. In Italia si può licenziare eccome ma, se il lavoratore intende farlo (infatti non è un obbligo e spesso dati i tempi ed i costi della giustizia si rinuncia a proporre impugnativa) può sottoporre il licenziamento al vaglio della Magistratura del lavoro che, dopo anni di causa, emetterà la propria sentenza. In sostanza ci troviamo dinanzi ad una tutela (per il vero applicabile a circa 2 casi su 10 del totale dei licenziamenti) che contrasta comportamenti datoriali arroganti ed ingiustificati, oppure di quei finti imprenditori che di “intrapresa” hanno ben poco, perché si muovono assistiti con i capitali dello Stato Italiano – cioè nostri – e non, come invece dovrebbe essere, con i propri. Sotto altro aspetto davvero non si comprende come l’eliminazione di tale tutela possa giovare all’economia italiana, né quelli che parlano in tal senso – fate attenzione quando gli ascoltate dall’alto delle loro remunerate cariche – ci spiegano questo perverso rapporto, secondo cui l’economia si risolleva quando l’azienda è libera di licenziare e non, così come dovrebbe essere, quando si incentiva l’assunzione con sgravi e/o risparmi sul costo del lavoro. Il numero 18 secondo la “smorfia napoletana” (perdonerete ma quando “ce vò..ce vò”) rappresenta il “sangue”…. in questo caso proprio quello di noi tutti.